C’è il fenomeno Bologna e c’è il fenomeno Sartori, il cui operoso silenzio è direttamente proporzionale al fragoroso successo di un lavoro che affonda le radici nell’intuito di autentico rabdomante di talenti, nella professionalità e, condicio sine qua non, nella passione. Altro che algoritmo. Il responsabile dell’area tecnica rossoblù è aduso parlare con i fatti. Sono lì a dimostrarlo, dal Chievo all’Atalanta al Bologna: trent’anni di giocatori scoperti, ingaggiati a basso costo, valorizzati con mirabolanti effetti sui risultati del campo e sui bilanci societari. Con Sartori sul mercato, si arriva in Champions League: ci riuscì il Chievo, ai preliminari del 2005; l’Atalanta per tre volte di fila, sfiorando addirittura la semifinale nel 2020 e adesso il Bologna di Thiago Motta, in linea di volo verso un traguardo storico, a sessant’anni dall’altrettanto storico scudetto. E allora, nero su bianco e senza la pretesa di citarli tutt,i perché sono talmente tanti, partendo da Chievo per arrivare a Bologna via Bergamo, ecco le benemerenze acquisite da Sartori: Pellissier, Amauri, Perrotta, Corini, Legrottaglie, Barzagli, Marazzina, Frey, Bastoni, Kessie, Conti, Spinazzola, Cristante, de Roon, Malinovskyi, Hateboer, Castagne, Gosens, Beukema, Karlsson, Ferguson, Posch, Ndoye, Zirkzee. Sartori, nomen omen: nessuno, meglio di lui, sa cucire addosso alle squadre l’abito da indossare nei tempi migliori.
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