Fabio Cannavaro: “Napoli, un calcio di rara bellezza”

Ci ripensa mai, Cannavaro.
«Sempre. Avevo quattordici al primo scudetto, diciassette al secondo. A quell’età, ci si accompagna con la fantasia. Sarebbe piaciuto anche a me vincerne uno qua da protagonista ma me lo godrò da tifoso».

Fu venduto per salvare il Napoli.
«C’era una situazione difficile, all’epoca. Fu la prima volta che si sentì parlare di ipotesi di Fallimento, che sarebbe arrivato più tardi».

I suoi primi due scudetti li conquistò da raccattapalle, ora da tifoso.
«Che se ne starà a casa, a gustarsi lo spettacolo per intero. Ho promesso a me stesso, però, di essere allo stadio per l’ultima di campionato. Qua la festa si sa quando comincia, non quando finisce».

Quando è iniziata davvero?
«Forse a giugno scorso, ma non so essere preciso. Però quello è stato un momento decisivo, la svolta di chi ha preso il coraggio a due mani – e che coraggio – ed ha capito che bisognava cambiare. Senza che ci fossero responsabilità di nessuno, sia chiaro. Era arrivato il giorno zero».

Tutti bravi, si può dire?
«La società, quindi De Laurentiis; il manager, cioè Giuntoli; l’allenatore, quel mago di Spalletti; e i giocatori, che hanno diffuso un senso di allegria raro. Non era semplice, semmai era difficile: via in tanti, i leader e di qualità. Spazio agli altri, forti e forti davvero, e poi acquisti mirati e di qualità altissima».

I perfetti sconosciuti o quasi.
«Sapevo che Kim fosse bravo, che lo volevano in tanti. ma ha fatto una stagione prodigiosa, penso perfetta, non mi viene in mente un suo errore. Poi è esploso Kvara, giocatore che ti strega. Giuntoli ha fatto due colpi fuori dalla normalità».

E chi c’era, già conosceva lo spartito.
«Spalletti aveva avviato il lavoro con quel terzo posto che gli era valso il massacro: ricordo il clima dopo la sconfitta con la Fiorentina, il pareggio con la Roma, il ko di Empoli. Ma stava nascendo il suo Napoli. Meret ha offerto un rendimento costante e rassicurante, ha confermato le qualità che si conoscevano. Di Lorenzo fosse arrivato dall’Argentina lo avrebbero chiamato Zanetti e se fosse stato acquistato in Inghilterra sarebbe stato per tutti Walker. Io sarei stato curioso di vedere Kim con Koulibaly ma cosa vuoi dire del campionato di Rrahmani? E Mario Rui, che lo rimpiangevi quando era assente? E Zielinski, con quel suo calcio pulito e raffinato? E Anguissa, che si prendeva il campo?».

Ha lasciato fuori le star.
«Perché viene facile sottolineare quanto siano stati importanti Osimhen, Kvara e pure Lobotka e Kim. Ma gli altri, invece, sembravano uomini normali che invece hanno offerto un contributo sensazionale. Tutti, nessuno escluso. Penso a Raspadori, che ha avuto poco spazio perché con quel mostro davanti non si poteva fare diversamente. E poi a Simeone, serio, determinato: entrava e segnava».

Cannavaro ha vinto ovunque, da calciatore e poi da allenatore…
«E mi sia consentito sottolineare il lavoro di Spalletti. Ha gestito con maestria, ha avuto una squadra in testa, l’ha disegnata secondo un calcio emozionale, di bellezza rara. Le critiche di un anno fa avrebbero potuto lasciare il segno, lui le ha evitate andando avanti con le proprie idee. Fu messo in discussione, ha reagito con orgoglio e serenità. Complimenti, perché questa è la sua rivincita. Ha dominato dall’inizio alla fine, è diventato un eroe, come lo sono Bianchi e Bigon, i predecessori. Verrà ricordato per sempre e penso si possa dire che questo sia il suo capolavoro».

Siamo all’alba di un ciclo?
«Non sarà facile ripetersi ma qui sanno di calcio e sapranno cosa fare se dovesse essere necessario intervenire. Juventus, Milan e Inter non avranno le difficoltà di questa ultima stagione, ma il Napoli sta avanti: ha talenti giovani, con margini di miglioramento notevolissimi, e una filosofia di gioco che rappresenta un vantaggio. Ha reso scontato, vincendo con larghissimo anticipo, un successo che invece è eccezionale. Lo ha fatto in un modo inusuale, perché spesso c’è un calciatore dominante che favorisce un’impresa di questa portata; stavolta, siamo dinnanzi al trionfo del gruppo, questa è la vittoria della squadra. Un dominio netto, praticamente dall’inizio alla fine, solo un paio di pause fatali in Champions League che l’ha reso umano, quando in campionato umano non lo è mai stato. Trentatré anni dopo, è meraviglioso».

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