Fabian O'Neill e quella prima telefonata italiana: splendori e cadute della stella del Cagliari

I geni sono sempre un po’ matti. Che sarà mai? Valeva la pena: allora, l’entusiasmo del cronista prevedeva anche fare a spese proprie qualche telefonata intercontinentale per avere le prime parole da neo rossoblù. Il primo passo è stata la sede del Nacional di Montevideo. Gentilissimi, mi passarono il numero di telefono del centro sportivo dove si allenava la squadra. E rispose una sorta di factotum, che riuniva in sé molte figure – magazziniere, custode, uno di casa per la squadra – che mi fissò lui un successivo appuntamento telefonico. Al quale Fabian rispose. O quasi. Tornando alla conferenza stampa di presentazione, lo prendo da parte e gli faccio “sai chi sono io? Quello che ha speso un sacco di soldi al telefono per parlarti”. E lui mi fa: “sai chi sono io? Non quello che ha parlato con te, era un mio compagno. Ero troppo diffidente. Ma le risposte erano mie”. Replica: “Pensi non l’avessi capito? Parlo la tua lingua, c’era troppa distanza fra domanda e risposta”… Un sorriso di quelli che rompono qualsiasi ghiaccio fu la sua reazione. Da allora, presi a chiamarlo Charruo. E lui sa perché.

E’ un aneddoto per svelare un lato della personalità di questo meraviglioso fuoriclasse che oggi, proprio il giorno di Natale, ci ha lasciato. Un giocatore dal talento unico, capace di mettere a sedere mezza difesa della Roma prima di scaricare in porta un gol meraviglioso. Uno dei non numerosissimi calciatori che a ogni azione non sapevi mai quale sarebbe stata la sua mossa. Uno capace di fare una verticalizzazione di quaranta metri posizionando il pallone davanti al piede (quello giusto) del compagno a tu per tu col portiere avversario. Uno dei pochi per i quali dicevi che pagavi volentieri il prezzo di un biglietto per andarli a vedere come Riva, Totti, Francescoli, Zola. Indipendentemente dal fatto che fossero della tua squadra o no, anche se nel pantheon di citazioni ce ne sono tanti con la maglia del Cagliari.

Fabian era così. Scanzonato, irriverente, divertente. I suoi teatrini con i colleghi uruguagi rossoblù (erano tanti…) erano lo spasso di ogni allenamento. Dario Silva era preso costantemente di mira. Roberto Muzzi, oggi team manager e per una partita (domani contro il Cosenza) allenatore, andava a nozze in campo con un fenomeno che devastava le difese avversarie e inventava soluzioni a beneficio dei compagni.

Ma tanto era grande, anzi Grande in campo, tanto era fragile fuori. A certi vizi come il bere sopravvivi se davvero hai un talento unico ma soltanto fino a un certo punto, perché anche quello prima o poi non basta più. E lì schianti. Così una meravigliosa creatura calcistica finisce per avere una parabola stretta, che precipita. Centoventi presenze in Serie A col Cagliari, meno di venti in due stagioni nella Juventus che spese un sacco di soldi per averlo. Esperienza minima nel Perugia, poi un ritorno flash a Cagliari quasi una tappa di trasferimento per tornare al Nacional. Cinque gettoni nel 2003 e fine della carriera. A 29 anni.

Da allora, una infinita serie di batoste umane, tutti i guadagni dilapidati, l’ha finita pure a dare una mano al mercato di prodotti ortofrutticoli a Montevideo. Lo potevi vedere trascinare o spingere un carretto carico di legna nelle strade di Paso de los Toros, cittadina che gli ha dato i natali situata praticamente al centro geografico dell’Uruguay. “Io non ho rimpianti. So quello che ho fatto, mi sono divertito a fare ciò che volevo”. Mentivi, Charruo. Mentivi a te stesso perché questo non doveva essere il tuo destino. Eri una stella di prima grandezza e avevi il dovere, non soltanto il diritto, di brillare a lungo, visto che hanno fatto più fortuna, soldi e gloria tanti altri che secondo le regole non scritte dello spogliatoio avrebbero dovuto fare a gara per decidere a chi spettava l’onore di caricarsi il tuo borsone.

Oggi, chi ha avuto la fortuna di conoscere Fabian e di vederlo semplicemente mentre si allenava è combattuto fra l’emozione del suo addio alla vita terrena e la riconoscenza di aver ammirato un mago su un campo di calcio. Ecco, ti chiamavano el mago. Un charruo con tanta garra, infinita classe, origini irlandesi e uruguagio in tutto. Avevano ragione gli amici di Montevideo, quelli che segnalano i talenti: “es loco tambien”. Ma nonostante tutto, non dovevi finire così.


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