Essere o non essere da scudetto? Nella Verona di Shakespeare la recita clou del Milan di Pioli

Doveva essere un gruppo troppo giovane, dipendente da Ibra e senza difesa: il tecnico ha cambiato il suo destino e quello della squadra. E oggi può far dimenticare anche le disfatte storiche in casa Hellas

Luigi Garlando

8 maggio – Milano

Nella Verona shakespeariana di un Tudor, cala il Milan che ha per team manager un Romeo. Si sta scrivendo il finale della storia scudetto. Quanto la città di Giulietta sia stata fatale in due occasioni del genere lo sanno anche i bambini e lo diamo per acquisito. “Fatale” significa deciso dal Destino, un evento ineluttabile. Se c’è una cosa che ha insegnato Stefano Pioli al suo giovane Milan è che il destino ce lo costruiamo con le nostre mani, alla faccia del Fato. Lo ha dimostrato stracciando il suo. Era un Dead Coach Walking, sacrificato sull’altare fumoso di Ralf Rangnick, ha tirato dritto con la dignità del suo lavoro fino a riportare il Diavolo in Champions e ora a 7 punti dallo scudetto. Ha stracciato pure l’etichetta di Troppo Normal One per diventare l’allenatore rossonero con la media più alta nell’era dei 3 punti. L’ex Padre Pioli ora fa ruggire la curva che lo canta “on fire”. Nella città dei destini ineluttabili, in cui cascarono fatalmente i due allenatori più iconici nella storia rossonera, Nereo Rocco e Arrigo Sacchi, Pioli vuole stracciare anche il destino estivo del Milan, la squadra meno attrezzata e meno pronosticata per il titolo. Delle tre partite che mancano, questa, contro la squadra più in forma, che ha già spezzato il sogno scudetto del Napoli, è la più delicata. Il sorpasso dell’Inter ha messo pressione. Una vittoria consentirebbe a Pioli di giocarsi poi un pareggio con Atalanta o Sassuolo. A proposito, Tullio Gritti, secondo del Gasp, era titolare nel Verona fatale del ‘90. Ma oggi Pioli e il suo Milan sentono di essere fatali a se stessi: fabbri del proprio Destino.

Reparto super

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Anche sulla difesa pendeva un destino apparentemente fatale. L’oracolo comune era: “Gigio Donnarumma, il miglior portiere dell’Europeo, si porterà a Parigi 6-7 punti, minimo”. Si guardava allo sbarco di Mike Maignan a Milanello come a quello di un Ufo. E poi, a inizio dicembre, il gravissimo infortunio di Simon Kjaer, il totem difensivo, con Ibra la guida spirituale del gruppo. In più, la lunga involuzione di Alessio Romagnoli. La sentenza sembrava senza appello: “Un Diavolo indifendibile. Il reparto sarà l’anello debole della squadra”. Anche qui un destino ribaltato: il presunto anello debole è diventato l’anello forte. Al momento, dopo i due gol dell’Empoli all’Inter (31), Pioli ha la miglior difesa del torneo (30). Pierre Kalulu (21 anni) e Fikayo Tomori (24) hanno saldato nel tempo un’intesa notevole. Nelle prime 16 giornate del ritorno le altre 3 tre in zona Champions hanno subito almeno il doppio dei 7 gol del Milan: Inter e Juve 14, Napoli 17. Mike Maignan, decisivo, è l’unico portiere oltre il 50% di clean sheet: ha chiuso la porta per 15 volte su 29. Handanovic, per dire, è al 40%: 14 volte su 35. Anche stasera al Bentegodi la difesa o, meglio, la prestazione difensiva, sarà fondamentale. Perche il Verona che insegue il record di punti e di gol, ne ha già segnati 61 come il Milan e ne ha già portati 3 in doppia cifra: l’incursore Barak (11), Caprari in stato di grazia (12) e il Cholito Simeone (16) che ha interismo nel sangue. In doppia cifra Pioli ha il solo Leao (10). Ci è appena arrivato.

I talenti

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“Squadra troppo giovane per reggere le tensioni dell’alta classifica, soprattutto nel finale quando la temperatura cresce”. Anche questa sentenza fatale è stata appallottolata e cestinata da Pioli. Vinicius e Rodrygo hanno trascinato il Real Madrid in finale di Champions League. A 21 anni, l’età che aveva Guglielmo Marconi quando fece suonare il primo campanello trasmettendo onde radio. Mark Zuckerberg aveva 19 anni quando ha inventato Facebook. Praticamente l’età di Kalulu quando ha firmato col Milan. Pioli ha scommesso sui suoi ragazzi, con la fede di Ancelotti, e non solo perché costretto dall’emergenza. Leao, 22 anni, e Tonali, 22 oggi, sono stati i trascinatori della stagione. Anche loro hanno cambiato il loro destino di incompiuti. Dice bene Italo Calvino: “A volte uno si sente incompleto ed è soltanto giovane”. I giovani hanno ricambiato la fiducia di Pioli. La prova sono gli scontri diretti tra le prime 6, dove in teoria, dovrebbe pesare l’esperienza: Milan 24 punti, Inter 22, Napoli 19, Juve 16, Lazio 12, Roma 8, Fiorentina 7. Il Milan è anche la squadra che è stata più a lungo in vetta. Aveva ragione Andreotti: “Il potere logora chi non ce l’ha”. Bivaccare stabilmente in vetta e praticare il gioco ambizioso di Pioli che impone sempre il possesso, l’offensiva e il dominio, ha irrobustito l’autostima e la personalità dei giovani. Oggi il tecnico rossonero può contare su ragazzi adulti e ieri, alla vigilia della partita chiave, ha potuto annunciare l’ultimo step: “Non solo dimostrare che siamo bravi, è giunta l’ora di fare vedere che siamo i migliori”.

L’attacco

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Ma il destino più fatale di tutti sembrava essere la dipendenza da Zlatan Ibrahimovic, perché lo svedese ha costruito questa squadra non meno di Pioli. Non è stato solo l’imprescindibile riferimento tattico. Appena arrivato a Milanello, nell’inverno del 2019, ha educato una nuova cultura del lavoro, ha insegnato come si vive al Milan e ha ispirato una mistica di gruppo che resta ancora il primo segreto del Milan rivelazione. Ma se all’inizio Ibra era il coraggio della squadra e, quando mancava, se ne avvertiva il vuoto, nella stagione in corso il giovane Milan ha imparato a camminare con le sue gambe, anche senza la protezione del del totem di Malmoe. Lo dimostrano i numeri. Nelle 21 partite con Ibra in campo, il Diavolo ha viaggiato alla media punti di 2,09 e ha segnato alla media 1,61 gol a partita. Nelle 14 partite senza Zlatan, i rossoneri hanno accelerato (media punti di 2,42, media gol di 1,92) e non sono mai stati sconfitti. Ma se non c’è più la dipendenza fatale, non significa che Ibra non serva più. Gli interisti ricordano bene cosa combinò lo svedese quando si alzò dalla panchina in un piovoso pomeriggio parmigiano del 2008: segnò due gol e regalò lo scudetto a Roberto Mancini. Questo si aspetta Pioli. Da oggi in poi, a cominciare dalla shakespeariana Verona. Essere o non essere da scudetto? È giunto il momento di scoprirlo.

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