Egan Bernal, ritratto di un campione, grande già a 24 anni, preparazione meticolosa nella camera del vento

Egan Bernal va di fretta. Come tutti i campioni. Il Tour a 22 anni, adesso il Giro a 24. Ha illuminato la Corsa Rosa con talento e personalità.  È lo scalatore più forte del mondo, danza con la bici. Tutta la sua Colombia impazzisce  per il ragazzo di Bogotà. Ma dove può arrivare ?  È la domanda che tutti si fanno

Ha una abilità con la bici dai tratti eccezionali. Una abilità innata. Dote che va unita alla umiltà, alla intelligenza tattica, all’intuito, alla ambizione, al desiderio legittimo di migliorarsi e di essere valutato per i suoi meriti – di uomo e di atleta.

Ciò fa di lui un fenomeno unico. Con una storia alle spalle comune ai migranti che sbarcano sulle nostre coste.

È venuto in Italia, patria di campioni leggendari del ciclismo, per conoscere e studiare al meglio lo sport del pedale. Il buon cuore e il “naso” convincono il manager Gianni Savio a provarlo nel suo team Androni Giocattoli. Una società solida che ha partecipato a 21 Giri d’Italia. Vive due anni nel Canavese, impara la lingua, si fa apprezzare, fa le prime gare.

Stupisce. Oggi il Piemonte – la sua seconda casa – è in festa.  A San Colombano c’è addirittura un fan club.  Uno striscione che dice tutto. Eccolo:” Il Comune a partire da oggi cambia il nome in San Colombiano Bernal”.

È un perfezionista. Ipercritico con il proprio comportamento. Ha bisogno di fare sempre meglio. Ha una attenzione selettiva agli errori, li interpreta come indicatori di fallimento.

Ma quello di Egan Bernal non è  un perfezionismo nevrotico

Quello di Egan Bernal è un perfezionismo “normale” ( almeno secondo la distinzione classica ). Vede il proprio errore come una possibilità di crescita. Per questo non teme il giudizio degli altri. Facciamo un esempio: a Milano, con la maglia rosa di fatto blindata,  prima della cronometro conclusiva del Giro d’Italia, ha voluto fare in bici una ricognizione  del percorso in compagnia di Filippo Ganna.

E farsi spiegare tutte le insidie di un tracciato ricco di rotatorie, spartitraffico,rotaie del tram, pavé, curve a gomito. I tifosi gli urlavano di lasciar perdere. Lui, zitto e concentrato, ha compiuto il tragitto . E ha avuto ragione.

Dietro di lui c’è uno staff che cura ogni minimo dettaglio. Per la prima volta hanno fatto dei test aerodinamici – a  due mesi dal Giro d’Italia – con un manichino al posto suo con la riproduzione in 3D della sua posizione in sella.

Test eseguiti nella galleria del vento del Politecnico di Milano con la precisione di un ventesimo di millimetro. Hanno valutato “l’insieme-bici “. Cioè: ruote, telaio, casco, posizione in sella, scarpe, abbigliamento. Una curiosità: il body è stato stato testato oltre trenta volte.

Voleva vincere la Corsa Rosa nel nome di Pantani ( sono nati lo stesso giorno, il 13 gennaio ) e ce l’ha fatta. Grazie anche la sua formidabile squadra Ineos innervata da tre sontuosi gregari italiani: Ganna, Moscon, Puccio. E dall’impeccabile scudiero colombiano Martinez con la locomotiva Castroviejo.

I risultati sono puntualmente arrivati. Vincendo la tappa di Campo Felice ha indossato la maglia rosa conservandola per tredici giorni, fino a Milano. “ Ora punto tutto sulla Vuelta di Spagna “ha detto prima di rientrare a casa. Perché “ Colombia es pasion“. Ha vinto Tour e Giro a 24 anni. Come Bartali e Merckx.

Conclude :”Vinco per il popolo. E il Giro d’Italia mi fa sentire più libero “.

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