Drogba jr: “Io più tecnico di papà. In Serie D per mettermi alla prova”

Isaac, figlio di Didier racconta l’avventura alla Caratese: “Lui era molto più fisico di me. Ho scelto l’Italia per il suo calcio tattico. Gli idoli? Papà, Cavani, Henry e Kakà per la sua religiosità”

Matteo Nava @navmatteo

10 febbraio – Milano

La pressione c’è, è inevitabile. Forse, vivendola sin da piccolo, si impara a ignorarla, modellarla, schivarla.

“Aspettative alte per il mio cognome? Siamo due tipi di attaccanti molto diversi, non tutti lo capiscono”. Isaac, prima di tutto, poi Drogba. Il figlio d’arte della leggenda del Chelsea Didier ha firmato due giorni fa per la Folgore Caratese, squadra brianzola di Serie D, dimostrando la stessa fame del padre: “Puntiamo alla promozione in C, possiamo farcela”. La neve lo ha bloccato a Parigi tardando il suo arrivo in Lombardia, ma non ha esitato a raccontarci un po’ di sé.

Isaac Drogba, perché hai deciso di venire a giocare in Italia?

“Dopo l’esperienza al Guingamp mi sono guardato intorno, sono sempre stato incuriosito dal diverso calcio che c’è qua. In Italia si dà molta più attenzione alla tattica e volevo provare questa avventura dopo aver fatto i conti con il gioco più fisico che ho provato in Francia. Voglio mettermi alla prova con difese diverse da quelle che ho affrontato finora”.

Ti senti più francese o più inglese?

“Sono nato a Parigi, ma poco dopo i tre anni mi sono trasferito a Londra con il passaggio di mio padre al Chelsea. Nel Regno Unito ho tanti amici e ho vissuto moltissimi anni giocando per i Blues. Se proprio devo scegliere, dico inglese”.

Sei in contatto con i tuoi ex compagni del Chelsea?

“Sì, ho giocato per moltissimi anni con Mason Mount, Callum Hudson-Odoi, Reece James: tutti ragazzi che sento ancora molto volentieri”.

Hai sempre giocato come punta centrale?

“Sì, è il mio ruolo principale, ma ho giocato sia come esterno d’attacco e da numero 10, con la libertà di muovermi dietro la prima punta”.

È lo stesso ruolo che ha reso famoso tuo padre…

“Non sono diventato attaccante per quello. La mia passione per il calcio aumentava ogni volta che vedevo mio padre segnare o vincere un trofeo, volevo rivivere in prima persona le stesse emozioni. Ma il mio ruolo è sempre dipeso dalle mie caratteristiche fisiche, dalla mia capacità di fare gol”.

È il tuo punto forte?

“Sì, la finalizzazione è una delle mie due armi migliori, insieme all’efficacia nel dribbling. Se dovessi indicare i miei punti forti sarebbero questi due”.

C’è un giocatore in particolare a cui ti ispiri?

“Anche se è un tipo di attaccante molto diverso da me, adoro i movimenti offensivi di Edinson Cavani. Il suo modo di stare in campo è unico, lo rende un calciatore davvero speciale a cui guardare per migliorarsi il più possibile”.

Chi era il tuo idolo calcistico d’infanzia, invece?

“Il primo è scontato, mio padre Didier. Lo vedevo continuamente fare gol, vincere trofei e regalare gioie ai tifosi: non poteva che essere lui il mio idolo negli anni in cui cominciavo io stesso a giocare a calcio. Poi adoravo anche Thierry Henry, anche se non ho avuto molte occasioni di ammirarlo dal vivo”.

Tuo padre ti rivela qualche segreto per migliorarti?

“Lui mi ha sempre dato consigli preziosi, sin da quando ero piccolo. E lo fa ancora adesso, suggerendomi su cosa concentrarmi o su cosa impegnarmi maggiormente. Così molte volte è stato più facile lavorare su me stesso e fare passi avanti come calciatore”.

Apprezzi anche Kakà…

“Assolutamente sì, ma lui soprattutto per la sua religiosità. È stato un calciatore fantastico, ma mi piace il suo continuo ringraziamento a Dio, le esultanze con le mani al cielo, la scritta I belong to Jesus sulle magliette. La spiritualità è un aspetto molto importante nella vita per me”.

Che ricordi hai dei successi di tuo padre al Chelsea?

“Ero presente praticamente sempre, sono tanti momenti che conservo nella mente con molto piacere. Li ho vissuti quasi tutti come lui e ricordo in particolare le Premier League vinte e la finale di Champions League a Monaco di Baviera del 2012. Contro il Bayern segnò il gol del pareggio a due minuti dalla fine e l’ultimo rigore della serie. Poi quando lui è andato a giocare all’estero (Turchia, Cina, Canada e Stati Uniti, ndr.), io sono rimasto a Londra perché stavo ancora studiando”.

Cosa hai ereditato da lui e cosa invece vi differenzia?

“Sono anche io un attaccante che vede molto bene la porta e ama fare gol, ma lui era molto più fisico, il re dell’area. Io spazio di più e ricorro maggiormente alle mie capacità tecniche”.

Percepisci molta pressione per via del tuo cognome?

“Si possono fare paragoni tra calciatori simili, ma io non sono una sua copia. Ho caratteristiche che mi portano a giocare in modo molto diverso da lui e questo mi fa sentire meno pressione sulle spalle”.

“Mi alleno con la Folgore Caratese dallo scorso autunno, sto studiando la lingua e ho già conosciuto i compagni. Il gruppo mi piace, abbiamo perso nell’ultima giornata, ma arrivavamo da 11 risultati utili consecutivi e secondo me abbiamo tutte le carte in regola per puntare alla promozione. Adesso che ho firmato posso finalmente dare il mio contributo”.

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