Domizzi: “Il miracolo Ascoli, Adani chiacchierone e quella mia doppietta alla Juve…”

La vita di Maurizio è stata come un rigore. A Roma è nato, a Casalotti ha preso la rincorsa negli Anni ‘80, nella quarantottesima zona della Capitale, quando non era ancora Domizzi ma già un ragazzo pieno di sogni. La Lazio dello scudetto 2000 è stata una palestra di vita in cui farsi i muscoli, Napoli sei anni più tardi si è rivelata il posto perfetto per ritagliarsi un posto al sole per la prima volta nel grande calcio. Nel 2008 poi è cominciata la bella stagione di Udine dove gli uomini di Francesco Guidolin hanno scritto record rimasti imbattuti. Al Friuli Domizzi ha fatto gol, a Venezia agli ordini di Filippo Inzaghi ha sognato ancora un po’, al momento giusto poi si è sfilato gli scarpini. Oggi l’ex difensore aspetta. Vuole prendere la rincorsa verso un nuovo obiettivo. Adesso Maurizio sogna una rete dalla panchina.

Maurizio, come sta andando il suo percorso da allenatore?

Al momento si è interrotto per la regola sui tesseramenti degli allenatori: in Italia è possibile farne uno solo a stagione. A settembre ho scelto di lasciare la Fermana, per tornare in panchina dovrò aspettare l’anno prossimo. Ne sto approfittando per vedere partite e seguire giocatori in tutti i weekend.  Mi sto concentrando su questo, con calma valuterò dove ripartire.

Com’è nata l’idea di fare l’allenatore?

È maturata nei miei ultimi anni di carriera quando giocavo ancora. Succede a tanti calciatori. Poi è diventata un’idea concreta. Ho cominciato ad allenare i giovani subito dopo il mio ritiro con il Venezia.

Ha qualche modello in panchina?

Negli ultimi dieci anni la metodologia di lavoro e il modo di giocare sono cambiati molto. L’Italia è stata uno degli ultimi Paese ad uniformarsi al modello europeo che sto scoprendo da allenatore. È una cosa fresca. Cercherò di creare il mio metodo. Certi principi del calcio comunque sono rimasti gli stessi.

Com’è nata la sua passione per il calcio?

È cominciato tutto quando ero piccolino. A Roma c’erano tantissime scuole calcio di qualità. Tutti potevano provare a giocare, io ero uno di questi. Avevo una grande passione. Sono stato fortunato perché la squadra del mio quartiere era una delle migliori della zona. Abitavo a Casalotti, lì ho fatto il settore giovanile. Sono passato alla Lazio a 13 anni. I primi anni sono stati importanti: ero subito ad alti livelli.

C’erano sportivi nella sua famiglia?

No, nessuno sportivo, ma erano tutti appassionati di calcio. C’erano tifosi della Lazio e tifosi della Roma. Nelle famiglie della Capitale il tifo si divide spesso così.

Com’è nato difensore?

Nei primi anni con la Primavera facevo il centrocampista, poi ho cominciato ad arretrare. Quando ho esordito da professionista giocavo ancora in mezzo al campo, piano piano mi sono stabilizzato in difesa.

E il feeling con i rigori?

Per passione! Fin da ragazzo mi fermavo per tirarli con i più esperti. L’ho sempre fatto, mi piaceva. Si diventa rigoristi per indole. Per tirare un rigore serve solo indole caratteriale. Se ti piace la prendi come una sfida positiva, se non ti piace pensi di avere tutto da perdere. Significa prendersi delle responsabilità.

Che cosa ricorda della Lazio di Sergio Cragnotti?

Ho fatto parte di un gruppo stratosferico. C’erano tantissimi campioni. Penso a Vladimir Jugovic e Alen Boksic, due tra i migliori che ho visto giocare. Non hanno fatto la carriera che avrebbero meritato.

Quando è svoltata la sua carriera da calciatore?

Dopo la Lazio sono diventato di proprietà del Milan e per due-tre stagioni sono stato mandato in prestito, prima al Modena e poi alla Sampdoria. Modena mi ha cambiato la carriera: a vent’anni ho vinto il campionato di Serie B. Dal punto di vista tecnico la svolta è arrivata all’Udinese: per tre-quattro anni consecutivi abbiamo disputato campionati straordinari. Siamo arrivati terzi, quarti e quinti in tre anni di fila. Abbiamo centrato sempre la qualificazione in Europa.

Che cosa ricorda della stagione da favola con l’Ascoli in A?

Siamo arrivati decimi nel 2006. C’era Fabio Quagliarella. Abbiamo fatto un mezzo miracolo perché l’Ascoli era stato ripescato dopo lo scandalo Calciopoli. La squadra è stata allestita in dieci giorni con tanti esordienti. Lo stesso Marco Giampaolo era praticamente al debutto. È stata una bella scommessa. Ho un bellissimo ricordo di quell’impresa. Ci siamo divertiti e abbiamo giocato un ottimo calcio.

C’era Daniele Adani in quell’Ascoli: era un chiacchierone?

Avevamo giocato insieme al Brescia l’anno prima, poi all’Ascoli. Era un grande chiacchierone come oggi, ha sempre amato parlare di calcio. Oggi ha perfezionato questa sua dote e l’ha trasformata in un lavoro.

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