Dino Baggio e il caso farmaci: attenti a non generalizzare

Zeman lanciò l’allarme nel 1998, l’ex azzurro ha riaperto uno squarcio sulle “pratiche” del calcio anni ’90. I timori sono comprensibili, ma risposte certe sulle conseguenze non possono esserci e sparare nel mucchio crea solo ansia

Era l’agosto del 1998 quando Zeman rilasciò una celebre intervista all’Espresso fondata su questa affermazione: “Il calcio deve uscire dalle farmacie”. Ne seguì una polemica furibonda nel corso della quale il tecnico boemo, coscienza critica e spirito libero, fu messo in croce e schernito da molti giocatori e ambienti di club dalla coda di paglia.

Consuetudini

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Ma la sua denuncia aveva basi solidissime: all’epoca tutti sapevano che gli stipetti dei “pronto soccorso” dei club ospitavano centinaia di prodotti chimici, i più vari. Quasi mai sostanze dopanti vere e proprie (qualcuna lo sarebbe diventata poi), però somministrate “a pioggia” a soggetti sani per migliorarne le prestazioni. Un controsenso. E dietro a quegli abusi di flebo e cosiddetti “integratori” c’era sempre la figura del medico, che tutto rendeva rassicurante. Quei comportamenti, a mio avviso, erano altrettanti tradimenti al giuramento di Ippocrate, base deontologica ancora oggi di ogni medico: “…Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, mi asterrò dal recar danno e offesa…”. Ora registriamo diversi interventi originati da uno sfogo di Dino Baggio, ripreso per ora da Raducioiu e Brambati. Ex campioni che si sentono a rischio; peggio: sotto una spada di Damocle.

Paure e risposte

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I recenti lutti di Vialli e Mihajlovic, uomini ancor giovani che parevano rocce, agitano le loro umanissime paure. Il primo sentimento nei loro confronti è di empatia: sono persone in preda a un timore forte, probabilmente irrazionale, ma non si può non solidarizzare e far loro coraggio. Il problema è che nessuno, onestamente, può dare una risposta scientifica ai loro angosciosi quesiti, che d’altra parte originano una scia di inquietudine diffusa di cui non si avverte il bisogno. Un conto è riferire fatti e dati certi, con nomi e cognomi, un’altra è sparare nel mucchio dei ricordi. In questo modo, ansia produce ansia, senza che nulla di efficace possa uscirne, tanto meno per la loro stessa salute. Nemmeno essere stato uno straordinario campione, di incrollabile forza fisica e mentale, pone al riparo dai tanti mali che affliggono il resto della popolazione: è un dato a disposizione del senso comune e delle statistiche. D’altra parte, il logorio fisico di una dura carriera agonistica dovrebbe portare sopportabili conseguenze osteo-articolari, niente di più. E sono tanti gli ex campioni che si spengono dopo una lunga vita serena, com’è capitato in queste settimane a Pelé o Castano. Generalizzare è del tutto inutile, così come chiedersi che cosa comporti a lungo termine l’essere stati sottoposti alla “farmacia” degli anni 90. Piuttosto, il risvegliarsi delle coscienze sul tema deve mettere in guardia le giovani generazioni: il bombardamento di farmaci va rifiutato sempre e comunque, a prescindere da chi lo consigli. Un giocatore si può definire “moderno” non solo per come si muove e tocca la palla, ma anche per quanto sa gestire la propria salute in piena consapevolezza.

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