Diciamolo: ci piace Spalletti l’originale

Sono diverso perché la nostra vita diventa migliore se capiamo cosa ci succede e perché ci succede: non è Platone, non è Eraclito, lo sappiamo bene chi è, il ct pensatore, che ogni tanto fa venire la tentazione di alzare il telefono e chiamare subito un tipo pane e salame, magari Ancelotti, magari Ranieri, e implorarlo in ginocchio, ti prego, molla tutto, vieni, fai tu la cifra, purché finalmente si facciano due parole tranquille senza fondere il cervello. Magari adesso Spalletti è davvero diverso con gli azzurri, così almeno assicura il capitano Donnarumma, «l’abbiamo ritrovato più tranquillo, più sereno». E pare persino che il ct afflitto abbia espiato per un’estate intera, «un’estate bruttissima, perché si tornava sempre là», e sappiamo dov’è quel là, un’autoflagellazione con tanto di conversione drastica, «ho fatto tesoro dell’esperienza precedente e mi sembra di aver capito delle cose».
La curiosità di rivederlo nuovo e cambiato è tanta, ma è una curiosità frustrata sul nascere. A chi la raccontano. Prima ancora di iniziare, mentre Buffon e Deschamps si abbracciano come due ex della stessa bocciofila, Spalletti è già in modalità Spalletti, versione classica: occhi spiritati verso qualcosa che vede solo lui, fisso e rigido come un baccalà, con la tensione che potrebbe alimentare da sola l’intero impianto di illuminazione. Da lì in poi, ancora e sempre il solito ct, la mimica quasi studiata all’actor studio, ogni tanto le braccia alte e allargate un po’ albatros e un po’ Yuppidù, i richiami continui, le urla a dentatura sguainata fermati lì, vai di là, più la dose che spetta al quarto uomo per il giallo ignorato. Poi, a cadenze imprecisate, il ritorno verso la panchina, a testa bassa, immerso nelle riflessioni accessibili solo a lui, messe sottochiave e buttata via la chiave.
Là davanti alla panchina lo riconosciamo e lo ritroviamo tale e quale, Spalletti the original, che simula una finta flemma per mascherare alla bell e meglio il tumulto impetuoso dell’uomo passionale, che mette in gioco l’orgoglio, l’ambizione, tutto se stesso in una scommessa gigantesca.
Ma allora diciamolo: chi lo vuole un altro Spalletti, uno Spalletti diverso, un non-Spalletti. Si passa una vita a diventare ciò che siamo, perché bisogna cambiare. Se si è deciso che all’Italia serve Spalletti, serve uno Spalletti vero, non geneticamente modificato. Proprio lo Spalletti che marca a uomo i suoi uomini, perché prima di tutto siano uomini. «Agli Europei eravamo inferiori alla Svizzera, ma prima ancora eravamo inferiori a noi stessi. Adesso cominciamo a rimettere le cose a posto»: non è Platone, non è Eraclito, è Spalletti nella migliore versione di se stesso. Com’è sempre stato, come nessuno gli ha chiesto di non essere. E comunque non andrebbe mai dimenticato: è lo Spalletti che s’è preso in mano la grana del secolo. Rifare l’Italia, l’Italia che non c’era più.

Precedente Spese da scudetto: Milan senza alibi Successivo Udinese, Runjaic sfrutta la pausa per studiare i nuovi innesti