De Sciglio: “Ho sofferto tanto. E non sono il figlioccio di Allegri, ma lui mi conosce e sa cosa posso dare”

Il difensore della Juve ha raccontato le sue difficoltà (“Mi sentivo sbagliato a uscire a cena con la fidanzata, persino a mostrarmi in giro con mia madre”) e come ne è uscito, anche grazie a un mental coach

“Non sono il figlioccio di Allegri – inizia così l’intervista-confessione fra passato e presente di Mattia De Sciglio a Cronache di spogliatoio -. Il nostro è uno dei rapporti allenatore-giocatore più iconici degli ultimi anni, ma lui non mi ha mai favorito. Certo, ciò che è vero, è che tra noi è nato un legame speciale. Lui mi ha fatto esordire, lui mi ha visto cadere, lui mi ha visto rialzarmi. Credo che Allegri mi conosca per quello che sono, un ragazzo genuino, educato, disponibile. Il nostro rapporto di confidenza, spesso enfatizzato, ha creato una fiducia reciproca. Pretende tanto da me, e sono uno di quello che massacra di più perché mi vuole bene e conosce le mie qualità”.

Allegri, i soprannomi e la traduzione

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De Sciglio prosegue nel descrivere il suo rapporto con l’allenatore che lo ebbe anche al Milan: “Lavora molto sulla comunicazione con il gruppo e con il singolo. Mi stuzzica, e ormai ne nascono dei botta e risposta. Ci divertiamo. A lui piace dare nomignoli a tutti i calciatori, e quando vuole colpirmi nell’orgoglio mi chiama ‘Mangia e dormi’, stop”. Quindi arriva la risposta: “Mister, una cosa te la devo raccontare io adesso. Anche noi ti prendiamo in giro. Sai che imitiamo il tuo modo di parlare in toscano, e qualche volta ci siamo ritrovati a doverti tradurre. Quando ci sono le riunioni tecniche e ci sono nuovi giocatori stranieri, spesso ci chiedono: ‘Ma cos’ha detto?’. Perché già è difficile capire l’italiano dall’inglese, figuriamoci comprendere il livornese!”.

Dai problemi fisici alle critiche, sempre più giù

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“Nessuno ti prepara al baratro. Ho iniziato ad avere problemi fisici che mi hanno condizionato, trascorrendo un anno e mezzo con un minutaggio al ribasso e incostante. Non ho avuto problemi gravi, tutti stop di qualche settimana: tornavo, e dopo due partite mi fermavo nuovamente. Sono iniziate le critiche della stampa e dei tifosi. Mi hanno ferito, facevano male. Ero passato dal paradiso all’inferno. Si era creata un’immagine distorta, e anche quando facevo delle partite positive, saltava fuori un pretesto per attaccarmi. Mi chiedevo: ‘Perché?’. Non sono mai stato uno sopra le righe, che si fa vedere in giro per Milano a far serata. Mi sono chiuso in casa. Vivevo in un vortice di pensieri negativi, dove mi sentivo in difetto anche nell’andare a cena con la mia fidanzata a metà settimana, oppure portare fuori mia madre. Mi sentivo sbagliato nel farmi vedere fuori. Mi mancava la felicità. Faticavo a sorridere. Chiuso, in casa, a pensare che godersi la vita fosse un eccesso che per niente al mondo mi potevo permettere. A pensare che forse, sentirmi sensibile e fragile, fosse un lusso per questo mondo”.

mental coach

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“Grazie a un mental coach ho imparato a lavorare con la testa, attraverso un lungo percorso che mi ha permesso di capire chi sono veramente, e che se sono arrivato a certi livelli è perché me lo merito. Dedicavo giornalmente del tempo per lavorare con la mente. Il mio carattere pacifico è stato interpretato in maniera sbagliata da tante persone, come se mi mancasse la personalità. In realtà da sempre mi faccio troppi problemi a mandare a cag* la gente e vivermela serenamente”.

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