De Ascentis: “Affitto appartamenti e gestisco club. Il baby-Cassano? Un birbante”

L’amore è eterno finché dura: una constatazione amara, difficile da buttare giù, che però non cancella tutto ciò che è stato. Tra il calcio e Diego De Ascentis è andata a gonfie vele per 34 stagioni, poi qualcosa si è inceppato e riallacciare il filo del discorso non è stato possibile. L’ex centrocampista è tornato nella sua Menaggio dove tutto è ricominciato tra barche, beach club e appartamenti. Oggi De Ascentis fa la spola tra le rive del Lago di Como e Milano, la città dove all’inizio del Duemila ha realizzato il suo sogno più grande. Gianluca Zambrotta è stato un conterraneo d’avventura, Paolo Maldini l’esempio di ciò che un calciatore dovrebbe essere secondo Diego. Oggi non c’è più il calcio nella sua vita, ma i ricordi sono ancora vivi. Perché, anche se è finito da un po’, è stato un viaggio meraviglioso. E un grande privilegio.

Diego, segue ancora il calcio?

Poco. So solamente quello che mi racconta mio figlio. Da quando ho smesso non ho più seguito. Conosco il nome di pochi calciatori: sono di più quelli che non so rispetto a quelli che so.

Che cosa l’ha spinta ad allontanarsi così?

Ho avuto mille altri interessi, ho fatto altre cose. Non ho concluso la mia carriera nel modo migliore. Ho smesso troppo presto e troppo sano. Ho cercato esperienze all’estero senza successo. Il tempo è passato, mi sono dedicato ad altro. È stato un addio sbagliato. Avevo 34 anni ed ero ancora in forma. Qualche anno andava fatto ancora. Ho chiuso retrocedendo con l’Atalanta dopo un anno difficile in tutti i sensi.

Dopo il calcio lei si è dedicato al CrossFit: che cosa le ha dato questo sport?

L’ho praticato intensamente per un anno. Oggi continuo a tenermi in forma: vado a correre oppure mi alleno in palestra. Non ho mai smesso di curare la mia preparazione atletica. È imprescindibile per me perché ho fatto il calciatore per una vita. Poi io sono stato un giocatore molto fisico.

Lo consiglierebbe a chi vuole tenersi in forma?

Io ho seguito il primo CrossFit, quello bello. Oggi è diventato un business, è stato esasperato. È uno sport estremo. Molti esercizi ora sono folli, per farli devi essere un fenomeno. Sono previsti carichi di lavoro gestibili a 25-30 anni, a 50 articolazioni e muscoli ne risentono. Non va fatto con allenatori esaltati.

Lei ha investito nella ristorazione: in che cosa di preciso?

L’ho fatto prima con la mia famiglia, poi da solo. Ho un locale estivo, aperto per cinque mesi all’anno, sul Lago di Como: è un beach club in cui si organizzano eventi, ad esempio matrimoni. Avevo altri due bar importanti in città, ma li ho venduti perché era impossibile gestirli da solo. Possiedo anche una società di imbarcazioni. Gestisco appartamenti in affitto a Menaggio, il mio paese di origine di fronte a Bellagio. Mi piace il mondo legato ai servizi, soprattutto all’accoglienza dei clienti. Mi diverto molto con questo.

C’è un legame forte tra lei e la sua terra: che cosa le ha dato?

Io sono nato a Como, ma ho sempre vissuto a Menaggio. Oggi vado spesso a Milano, la città della mia compagna. Faccio la spola. A Menaggio vivono la mia ex moglie e i miei figli. Le mie zone d’origine sono belle turisticamente, ma non trasmettono chissà quali valori. Forse la professionalità. Io sono stato un calciatore molto serio e rompiscatole. A volte però ho esagerato nei confronti dei miei compagni, ma l’ho capito dopo. Ho preso tutto molto seriamente. Gli atteggiamenti dei calciatori oggi sono un po’ diversi.

Chi è stato un esempio per lei?

Io ho avuto la fortuna di giocare con Paolo Maldini: è stato un grande calciatore e si sta confermando altrettanto grande da dirigente. Non dice mai una cosa fuori posto, ma sempre grandi verità. Si capisce perché ha fatto un certo tipo di carriera. Quando Paolo fa qualcosa lo fa ancora con impegno e serietà.

Che cosa non le piace del calcio di oggi?

Non mi piace che si misuri la grandezza di un giocatore su Instagram. Contano di più i follower piuttosto che le presenze o i gol fatti. Chi gioca in Primavera non è ancora un calciatore, nella testa dei ragazzi lo sei già. Quando giocavo io, dopo due-tre anni in C o in D iniziavi a pensarlo, adesso cominci prima. Da questo punto di vista era meglio ai miei tempi. Nel calcio sono cambiate tante cose e non tutte in meglio.

Com’è nata la sua passione per il pallone?

Io abitavo in piazza a Menaggio, l’oratorio era ad un minuto da casa mia. Uscivo di casa al mattino con il pallone sotto braccio e rientravo alle sette di sera con il pallone sotto braccio. Non c’era nient’altro, solo il calcio. Oggi vedo ragazzi chiusi in casa per giocare online alla PlayStation anziché andare al campetto.

Lei è conterraneo di Gianluca Zambrotta: è l’uomo con cui ha condiviso più esperienze?

Decisamente sì. Gianluca è di Como città, io vengo dal Lago, la provincia però è quella. Abbiamo giocato al Como e al Bari per due anni. Poi siamo partiti nella stessa stagione: io verso il Milan, lui alla Juve.

Che cosa le hanno lasciato gli anni a Bari?

Una ex moglie e tre figli. Ancora oggi una parte della mia vita è legata a Bari. È stata un’esperienza importantissima. Avevo vent’anni ed era tutto favoloso: è stato come andare in Paradiso per me. Sono passato all’improvviso dal Como in Serie C al Bari in B. Abbiamo vinto il campionato e abbiamo ottenuto due salvezze in A. Ricordo tre stagioni vincenti in cui tutto ha funzionato, a parte qualche contestazione.

Quel Bari è stato sfortunato: penso alla scomparsa di Francesco Mancini, Klas Ingesson, Phil Masinga…

Purtroppo sì. Era gente di grande spessore umano. Ingesson una persona favolosa, un gigante buono. Eppure di fronte a certe situazioni non c’è niente da fare. Quella squadra ha pagato caro un prezzo non suo. Se ne sono andati via prematuramente in tanti della stessa squadra. Hanno avuto una tragica fine.

Ricorda qualcosa del giovanissimo Antonio Cassano?

Si era allenato con la prima squadra qualche volta. Ricordo che era un ragazzino birbante già all’epoca.

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