Daniel Bertoni su Napoli-Fiorentina: ”Il mio cuore è diviso, mi piacerebbe che non perdesse nessuna delle due!”

Daniel, in Italia cominciammo a conoscerti al mundial argentino: è vero che sognasti di fare il gol decisivo nella finale?
Si, è vero. Mi aveva fatto un’intervista El Grafico e gli avevo detto che avevo sognato di fare un gol nella finale del mondiale. Tutti mi chiedono del gol che ho fatto in quell’occasione, che sicuramente è stato molto importante per chiudere il match. Ma io penso sempre che è stato importantissimo anche il gol che ho realizzato nella prima partita contro l’Ungheria, quando sono entrato nel secondo tempo è ho segnato la rete della vittoria. Senza quel gol probabilmente saremmo usciti dal mondiale. 

La vittoria di quel mondiale è il ricordo più bello della tua carriera?
Si, è la cosa più importante per un calciatore. Non siamo in tanti, solo qualche centinaio, ad averlo vinto.

Prima di venire in Italia facesti due anni a Siviglia. Quando tu giocavi che differenze c’erano tra il calcio argentino, spagnolo e italiano?
In Italia si cominciava a fare il passaggio al gioco a zona che non era semplice, perché i difensori italiani erano abituati a giocare a uomo. In Spagna si parlava della “Furia Roja” perché era un calcio grintoso. In Argentina si giocava come si gioca oggi in Spagna o in Inghilterra: azioni in velocità, di precisione, fatte da giocatori con tanta qualità nei piedi. Ce n’erano anche in Italia ma da voi il calcio era diverso: era un calcio difficile, si faceva difficoltà a vincere anche nelle trasferte in provincia. Ricordo che alla seconda giornata di campionato (1980-81, ndr) con la Fiorentina andammo a giocare ad Avellino. Il tecnico era Paolo Carosi, veniva camera per camera da noi giocatori a dirci che era una partita difficile: sembrava che dovessimo andare in guerra. Tanto che io mi sentii in dovere di dirgli:”Paolo, le partite sono tutte difficili”. Aveva una grandissima preoccupazione. Poi andammo in campo e ci imponemmo 3-2: sembrava che avessimo vinto la Champions, la Libertadores o la coppa del mondo!

Cosa ti convinse ad andare a Firenze?
Io volevo cambiare. E poi il trasferimento mi conveniva economicamente: allora i giocatori non guadagnavano come oggi. Poi della Fiorentina mi avevano parlato bene dicendomi che era una società seria. Io amo Firenze, ne ho un bel ricordo. Siviglia e Fiorentina per me sono stati due grandi amori. Nei viola ho giocato con Antognoni, Giovanni Galli, Pecci, Graziani.

Come mai nel 1982 non riusciste a vincere lo scudetto?
Successero delle cose strane. Noi facemmo un gol valido a Cagliari mentre alla Juventus dettero un rigore inesistente a Catanzaro e non gli fischiarono un rigore contro. I fiorentini dicevano: meglio secondi che ladri. Io ho sempre detto che preferivo essere ladro piuttosto che secondo! Alla fine loro fecero 46 punti e noi 45: fu un campionato straordinario. La Juventus aveva nella squadra i giocatori che poi vinsero il mondiale, noi eravamo uno squadrone di qualità e quantità, aggressivo, compatto. I due scontri diretti finirono in parità.

Ti cercarono altre squadre in Italia?
Prima del Napoli, nel 1982, mi aveva avvicinato anche Dino Viola, che voleva che andassi alla Roma per raggiungere Falcao: io sarei andato anche volentieri ma la Fiorentina non volle vendermi dopo il mondiale e io rimasi a Firenze per amore. Lì stavo bene: ormai mi ero abituato alla città. E poi giocavo con grandissimi campioni come Antognoni e Passarella.

Ti chiamò Maradona per andare a Napoli?
No, no… Quando nell’84 lo raggiunsi a Napoli potevamo fare la differenza. Nella prima stagione arrivammo ottavi. Io feci undici gol e lui quattordici tirando anche i rigori. L’anno seguente si cominciò a costruire la squadra per vincere lo scudetto. Poi io me ne andai.

Perché?
Fu un problema personale più che calcistico: litigai con l’allenatore Bianchi e con Italo Allodi. Ricordo che, poco prima che morisse, andai a trovare Allodi in ospedale: mi chiese scusa anche se io gli risposi che non importava, che il calcio è questo.    

Come ricordi quegli anni con Maradona?
Ogni punizione per noi era come un calcio di rigore perché entrambi le sapevamo calciare molto bene. Ogni fallo vicino all’area era un mezzo gol per il Napoli. Diego era straordinario anche da vedere negli allenamenti.

Meglio Messi o Diego?
Entrambi straordinari ma Diego è stato irraggiungibile. Messi e Ronaldo hanno vinto di più perché oggi si giocano molte più competizioni e più partite. 

Maradona a parte, chi fu il giocatore più forte che incontrasti in quel periodo in Italia?
Quella era un’epoca dorata per il calcio italiano: arrivavano i migliori stranieri, dei veri campioni. Comunque, Antognoni per me è stato un grande. Ma anche Bruno Conti, Falcao, Cerezo, Vialli e Mancini, Scirea, Baresi, Vierchowod, che era una bestia, Bergomi, Brady, Platini, Zico.

Con i tuoi vecchi compagni sei rimasto in contatto ancora oggi?
Mi sento con Antognoni e Pecci, che a volte mi fanno parlare alla radio. Sono in contatto con Galli mentre Contratto è un po’ che non lo sento. Poi Celeste Pin, Cicco Graziani.

Del Napoli non senti nessuno?
Del Napoli non tanto. Sarebbe bello ritrovarci tutti e mangiare insieme, raccontandoci quello che facevamo. Quella era un’epoca davvero bella: viaggiavamo in pullman, facevamo i ritiri. Oggi i calciatori talvolta partono il giorno stesso della partita: è cambiato tutto. 

Chi vince domenica Napoli-Fiorentina?
Il mio cuore è diviso. La Fiorentina non sta andando bene, un po’ come l’anno scorso sta vivendo un momento difficile: credo che avrebbe bisogno di un centravanti d’area, non capisco perché non sia stato acquistato. Il Napoli è calato: fino a poco fa lottava per lo scudetto con la Juve mentre oggi non ha continuità, può vincere e può perdere. Mi piacerebbe che non perdesse nessuna delle due! La squadra che dimostrerà di giocare meglio e avere più qualità in campo, grinta, carattere e vincerà sarà la benvenuta. La Fiorentina deve stare attenta perché il campo del Napoli è sempre stato difficile.

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