Dani Alves: «Alla Juventus vincere è un’ossessione. Dybala come Messi»

ROMA – Dal ballo al canto passando per scrittore. Dani Alves non perde mai tempo e, oltre a fornire ottime prestazioni in campo, passa il tempo sui social. Dopo i video, ormai famosi in tutto il Mondo, l’esterno brasiliano ha voluto scrivere un lungo articolo su The Players’ Tribune raccontando le sue esperienze fuori e dentro il campo: dai primi tocchi al pallone all’arrivo in bianconero con la maglia della Juventus. Di seguito l’articolo integrale:

LA SFIDA CONTRO IL BARCELLONA – “Voglio iniziare svelandovi un segreto. A dire il vero, in quest’articolo vi racconterò diversi segreti, perché ritengo che le persone mi fraintendano spesso. […] Prima di andare alla Juventus, ho fatto una promessa ai dirigenti del Barcellona, e ho detto loro ‘sentirete la mia mancanza’. Non come giocatore – Barcellona ha molti campioni – ma intendevo dire che avrebbero sentito la mia assenza nello spogliatoio, tutto il sangue e il sudore che ho versato per quella maglia. Giocare contro il Barcellona nei quarti di Champions League è stato strano, specialmente al Camp Nou, dove mi sentivo a casa. Prima del fischio d’inizio sono andato a salutare in panchina i miei vecchi compagni, che mi hanno risposto ‘siediti con noi! Ti abbiamo tenuto il posto!’. Stavo stringendo la mano a tutti quando, improvvisamente, ho sentito il fischio dell’arbitro. Sono corso verso il terreno di gioco e ho sentito il mio vecchio allenatore, Luis Enrique, che se la rideva dalla panchina. Divertente, vero? Quella partita, però, non è stata affatto divertente. Non per me”.

I SEGRETI  DI DANI – “La gente mi vede e dice ‘Dani scherza sempre, sorride sempre, non è una persona seria’. Vi svelerò un altro segreto: prima di affrontare i migliori attaccanti del mondo, Messi, Neymar, Cristiano Ronaldo, studio i loro punti di forza e i loro punti deboli in maniera ossessiva e pianifico come attaccarli. Il mio obiettivo è dimostrare al mondo che Dani Alves è al loro stesso livello. Potranno anche superarmi in dribbling qualche volta, certo, ma io li attaccherò a mia volta. Non voglio essere invisibile, voglio la ribalta. Anche a 34 anni, dopo 34 trofei, sento ancora di dover dimostrare qualcosa”. Ma questo è un sentimento molto più profondo. Prima di ogni partita mantengo una routine. Mi metto davanti allo specchio per cinque minuti e mi concentro. Ed è allora che nella mia testa inizia un film, il film della mia vita. Nella prima scena ho 10 anni. Dormo su un letto di cemento nella mia casa a Juazeiro, in Brasile. Il materasso è sottile quanto il mignolo della mia mano, in casa si respira l’odore di terra bagnata e fuori è ancora buio. Sono le 5 di mattina, il sole non è ancora sorto e devo andare ad aiutare mio padre nei campi prima di andare a scuola. Io e mio fratello raggiungiamo mio padre. Lui lavora già, ha una grande cisterna piena di prodotti chimici in spalla e li spruzza sulle sulle piante per uccidere i batteri. Io e mio fratello forse siamo troppo giovani per respirare queste tossine, ma lo aiutiamo comunque. Per ore e ore mi metto in competizione con mio fratello per vedere chi lavora di più, perché alla fine del turno mio padre permette al vincitore di usare la nostra unica bicicletta. Se non vinco la bicicletta, devo farmi 20 km a piedi per andare a scuola […] Allora lavoro, lavoro tanto. Guardo mio padre prima di andare a scuola, ha ancora la cisterna sulle spalle e ha una giornata piena di lavoro davanti a sé, oltre che un turno di notte al bar per guadagnare qualche soldo in più. Da giovane era un grande calciatore, ma non aveva soldi per trasferirsi in una grande città e farsi notare da qualche osservatore. Però desidera che io abbia questa opportunità, anche a costo di morire”.

GLI INIZI – “Lo schermo diventa nero. Ora è domenica, stiamo guardando una partita di calcio sulla nostra tv in bianco e nero. […] Per noi è il giorno più bello della settimana, la casa si riempie di felicità. Lo schermo diventa nero. Ora mio padre mi sta accompagnando in città con la sua vecchia macchina, perché ho un provino con alcuni scout. La macchina è malandata, ha solo due marce: lento e più lento. Sento l’odore del fumo. Mio padre non si arrende mai. Non devo arrendermi nemmeno io. Lo schermo diventa nero. Ora ho 13 anni, e sono in una scuola calcio per ragazzi in una grande città, lontano dalla mia famiglia. Ci sono 100 bambini in un piccolo dormitorio, un po’ come una prigione. […] Su 100, io forse sono il 51esimo per talento. Allora mi riprometto una cosa, e dico a me stesso: ‘Non tornerai nei campi fino a quando non renderai orgoglioso tuo padre. Forse sei il 51esimo per talento, ma sarai il primo o il secondo per volontà. Sarai un guerriero. Non tornerai a casa, accada quel che accada. Lo schermo diventa nero. Ora ho 18 anni e sto per dire una delle poche bugie che ho detto nella mia carriera da calciatore. Gioco per il Bahia nel campionato brasiliano, quando un talent scout si avvicina e mi dice: ‘Il Siviglia è interessato e vorrebbe tesserarti’. ‘Siviglia!! Fantastico!!!’, dico. Lo scout risponde: ‘Sai dove si trova Siviglia?’ e io dico con sicurezza: ‘Certo che lo so, Siviglia! Splendido!’. Non so dove si trovi Siviglia. Può essere anche sulla luna, per quello che mi riguarda, però il modo in cui pronuncia il nome lo fa sembrare importante, per cui dico quella bugia”.

A SIVIGLIA – “Qualche giorno dopo inizio ad informarmi, chiedo in giro e mi dicono che il Siviglia gioca contro il Real Madrid e il Barcellona. In portoghese abbiamo un’espressione per descrivere momenti come questo. Agora, dico tra me e me. Bang. Adesso. Andiamo. Lo schermo diventa nero […] Quando inizia la stagione, l’allenatore spiega a tutti che qui, al Siviglia, la difesa non deve superare la linea di metà campo. Mai. Gioco qualche partita, passo la palla ai miei compagni di reparto, e fisso quella linea. La fisso come un cane che ha paura di attraversare un recinto invisibile. Poi, durante una partita, non so come, mi lascio andare. Devo essere me stesso. Agora. E allora vado. Attacco, attacco, attacco. È una sensazione magica. Dopo quella partita, l’allenatore mi dice: ‘Ok Dani, nuovo piano: qua al Siviglia tu attacchi’. In poche stagioni passiamo da essere un club in zona retrocessione a sollevare la Coppa Uefa due volte. Lo schermo diventa nero”.

CON I BLAUGRANA – “Mi squilla il telefono ed è il mio procuratore. ‘Dani, ti vuole il Barcellona’. Questa volta non devo mentire. So esattamente dov’è Barcellona. Questo è il film che vedo nella mia testa quando mi metto davanti allo specchio, prima di ogni partita. Alla fine, prima di tornare nello spogliatoio, penso sempre la stessa cosa. ‘Sono venuto fuori dal nulla. Ora sono qui. È surreale, ma sono davvero qui’. Quando avevo 18 anni, mi sono trasferito dall’altra parte dell’oceano per l’opportunità di giocare in una squadra che affrontava il Barcellona e poi ho avuto l’onore di giocare nel Barcellona? È stato incredibile. Ho avuto la possibilità di vedere dei geni […] Quella squadra era praticamente imbattibile. Giocavamo a memoria, sapevamo già cosa fare, senza neanche bisogno di pensare. Ecco perché, ancora oggi, il Barça è nel mio cuore. Ecco perché, quando abbiamo battuto il Barcellona ai quarti, sono andato da mio fratello Neymar e l’ho abbracciato. Lui piangeva e una parte di me voleva piangere assieme a lui. […] Quando sono arrivato alla Juve, è stato come andarmene di nuovo di casa. L’ho fatto quando avevo 13 anni, quando sono andato a scuola calcio. L’ho fatto a 18 anni, quando sono andato in Spagna. E l’ho fatto di nuovo a 33 anni, quando sono arrivato in Italia”.

DAL BARCELLONA ALLA JUVE – “Quando sono arrivato alla Juve, è stato come cambiare scuola. Per tutta la mia vita mi è piaciuto attaccare, e adesso mi trovavo in un posto dove difendere era tutto. Ancora una volta, mi sono sentito come il cane in giardino, con un recinto invisibile davanti. Vado o non vado? Non sono andato. All’inizio della stagione, volevo che i giocatori della Juve capissero che rispettavo la loro filosofia e la loro storia. Quando ho capito di aver guadagnato il loro rispetto, solo allora, ho deciso di far vedere loro i miei punti di forza. Un giorno ho fissato la linea di metà campo e mi sono detto ‘Vado?’. Bang. Agora. Attacco, attacco, attacco. (Ok, anche un po’ di difesa, altrimenti Buffon mi urla contro). A volte credo che la vita sia un cerchio. Proprio non riesco a sfuggire a questi argentini. Al Barça avevo Messi, alla Juve ho Dybala. Il genio mi segue ovunque io vada, lo giuro. Un giorno, durante un allenamento, ho visto in Dybala qualcosa che vidi anche in Messi anni fa. Non era solo il dono del talento puro, quello l’ho visto tante volte nella mia vita: era il dono del talento puro accompagnato dalla voglia di conquistare il mondo. Al Barça giocavamo a memoria. Alla Juve è diverso. È la mentalità del gruppo che ci ha portato in finale di Champions. Quando l’arbitro fischia l’inizio della partita, troviamo un modo di vincere, sempre. Vincere non è solo un obiettivo qui alla Juve, è un’ossessione. Non ci sono scuse che tengano. Questo sabato ho la possibilità di vincere il 35esimo trofeo in 34 anni di vita. È un’opportunità speciale per me, e non ha nulla a che vedere con i dirigenti del Barcellona, non devo dimostrare loro che hanno sbagliato a lasciarmi andare. So che non lo ammetteranno mai. No, non è questo il punto”.

IL RAPPORTO CON PAPA’ – “Vi ricordate quando ho parlato della promessa quando ero alla scuola calcio in Brasile? Quando ho detto che non sarei tornato a casa se non avessi reso orgoglioso mio padre? Be’, mio padre non è un uomo che lascia trasparire emozioni. Non ho mai saputo se lo avessi reso orgoglioso oppure no. Durante la maggior parte della mia carriera lui è rimasto in Brasile. Nel 2015 però era a Berlino e mi ha visto vincere la Champions League di persona, per la prima volta. […] Mi ricordo quando ho passato il trofeo nelle mani di mio padre, e ci siamo messi tutti e due in posa per una foto. Mi ha detto una frase in portoghese, una frase che contiene una parolaccia quindi non la tradurrò letteralmente, ma disse: ‘Mio figlio è il migliore adesso’. E volete sapere una cosa? Piangeva come un bambino. È stato il momento più bello della mia vita. Sabato avrò la possibilità di vincere un’altra Champions League contro un avversario che conosco bene. Come sempre, studierò Cristiano Ronaldo nei minimi dettagli. Come sempre, andrò davanti allo specchio prima della partita e rivivrò lo stesso film nella mia testa. Lo schermo diventerà nero e io ricorderò queste cose. Il mio letto di cemento. L’odore di terra bagnata. Mio padre con la cisterna sulle spalle. I 20 km per andare a scuola. ‘Certo che so dov’è Siviglia’.

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