Dalle vacanze in Italia all’asilo per il figlio: così Smalling è tornato a Roma

Il difensore ha fatto di tutto per rientrare nella Capitale, non ha mai avuto dubbi sull’addio allo United. E Fonseca l’ha sempre tranquillizzato

Nel calcio moderno, dove raramente i sentimenti hanno spazio, il ritorno di Chris Smalling alla Roma ha molto di sentimentale. Tanti tifosi gli darebbero la fascia di capitano, c’è chi lo paragona al grande amore (“trovate qualcuno che vi voglia come lui ha voluto la Roma”) e c’è chi lo definisce “degnissimo erede, in campo e fuori, di quell’Aldair di cui indossa la maglia numero 6”. Non solo cuore, però, ma anche ragione. Perché ci sono dei fatti, reali, concreti, messi nero su bianco, che raccontano come la Roma abbia fatto di tutto per riportare Smalling a Trigoria, ma raccontano anche come lui e la sua famiglia siano stati in prima linea nella trattativa.

Il bambino e le vacanze

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Per prima cosa Sam, la moglie di Chris, che ieri sera a trattativa conclusa ha subito pubblicato una bandiera italiana, non ha voluto prendere in considerazione l’idea di iscrivere il piccolo Leo, poco più di un anno, in una struttura di Manchester. Asilo nido o playroom in cui trascorrere solo qualche ora non fa differenza: la famiglia Smalling sapeva che sarebbe tornata in Italia e non ha voluto valutare altre opzioni per il figlio. Non solo: Smalling ha trascorso le vacanze in Sardegna con mezzo spogliatoio romanista e a tutti ha sempre detto la stessa cosa: “Tornerò”. Non ha perso mai i contatti con i compagni, tanto che ieri sono stati loro i primi a sapere che la trattativa era andata a buon fine e che Smalling stava per tornare ad allenarsi.

Le mail e Fonseca

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Altro ruolo chiave in questa trattativa, oltre al Ceo Guido Fienga, è stato quello di Paulo Fonseca. Per il portoghese Smalling non è mai stata la prima scelta, è stata sempre l’unica. Hanno parlato spesso, Fonseca lo ha tranquillizzato decine di volte e lo ha raccontato così candidamente in pubblico che alla fine il Manchester ha preso carta e penna (meno romanticamente ha scritto una mail), facendo presente con toni aspri alla Roma che il giocatore era un loro tesserato e le dichiarazioni dell’allenatore erano quantomeno incaute. Non solo: ogni parola di troppo (vedi anche l’ammissione di Kumbulla sulla sua stima e altre frasi di Fonseca) facevano lievitare il prezzo e infastidivano lo United, con la Roma costretta a mediare e a chiarire ogni volta.

Il rush finale

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Ieri, intorno all’ora di pranzo, la fumata bianca diventata ufficiale (con brivido) in serata. Decisiva la volontà con cui a Trigoria hanno voluto Smalling, ma anche l’atteggiamento del ragazzo, che partiva da una richiesta di quattro milioni per quattro anni e ha chiuso a tre più bonus per tre. Ennesima prova, questa, che i soldi per lui contano, come logico che sia, ma i sentimenti, almeno stavolta, hanno avuto la meglio. Anche perché Smalling non ha voluto sentire altre offerte. Le (nuove) maglie della Roma per lui e per il piccolo Leo, a Trigoria, sono già pronte.

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