Dalla chiamata di Mou allo scouting in Africa, ecco la nuova vita di Obinna

Salite da scalare. Una fatica quotidiana che in cima ha sempre un premio: osservare le cose da un’altra prospettiva. Così faceva Victor Obinna da bambino quando in Africa si staccava dalle spalle di sua madre per andare a inseguire il pallone. Così ha fatto la sera del 19 ottobre 2008 quando ha festeggiato il suo primo gol con la maglia dell’Inter sulle spalle di Zlatan Ibrahimovic sotto lo sguardo José Mourinho nel 4-0 alla Roma. Obinna ricorda quella sera e ciò che è venuto prima e dopo. Verona e il Chievo, una palestra di vita, poi l’Africa e il Mondiale 2010. Victor soffre per la mancata qualificazione della Nigeria in Qatar, ma guarda avanti. Lavora per il suo Paese e i suoi giovani sognatori.

Victor, che cosa fa oggi nella sua vita?

Faccio lo scouting, cerco talenti in Africa. Viaggio abbastanza. Mi rivedo in questi ragazzi, so che cosa pensano. Sognano l’Europa, vogliono venire qui per giocare il calcio che hanno sempre desiderato.

Lei come si è innamorato del calcio?

Mia madre mi raccontava che da piccolo cercavo sempre il pallone quando lei mi prendeva in braccio. Quando c’erano mio fratello maggiore e i suoi amici nei paraggi, io mi dimenavo per staccarmi e andare a giocare con loro, è iniziato tutto per divertimento. A 13-14 anni poi quello che provavo è diventato più forte. Allora il calcio è diventato una cosa seria.

Che cosa le ha insegnato la sua terra?

Io sono nato a Jos nell’entroterra. Amo la Nigeria. È una terra bellissima: penso alla città di Lagos che si affaccia sul mare. La Nigeria mi ha dato tutto e mi ha insegnato il valore prezioso delle piccole cose.

Lei seguiva il calcio italiano da ragazzo?

Sempre! Tanti grandi nigeriani giocavano in Europa: penso a Nwankwo Kanu e Taribo West, entrambi sono stati all’Inter. Tutti poi conoscevano il Milan negli Anni ’90. Seguivo tantissimo il calcio italiano.

La sua storia sportiva è cambiata grazie a Pierluigi Casiraghi: ci spiega perché?

È stato Gigi a segnalarmi all’Inter quando faceva scouting per i nerazzurri. Mi ha segnalato lui, poi la società ha mandato alcuni suoi collaboratori in Nigeria per seguirmi più da vicino e portarmi in Italia.

Lei è arrivato in Italia nel 2005: com’è stato l’impatto con Verona? E con il Chievo?

Verona è bellissima, molto romantica. È una delle città italiane più belle. Sono arrivato in Italia a 18 anni e sono stato accolto benissimo. Il Chievo mi ha dato la possibilità di diventare un calciatore professionista, tutto quello che desideravo a 18 anni. A Verona sono cresciuto come calciatore e uomo.

Nella stagione 2006/2007 siete passati dai preliminari di Champions League alla retrocessione in Serie B: che cosa è successo?

La mia prima stagione al Chievo è stata fantastica. In quella successiva siamo arrivati fino ai preliminari di Champions e abbiamo pagato tante cose. Non avevamo mai giocato una competizione così importante, oltre al campionato e alla Coppa Italia. La squadra non aveva un’esperienza sufficiente. La retrocessione è stata difficile da accettare. È stato un colpo durissimo.

Il suo ex compagno Sergio Pellissier ha lanciato il progetto Clivense: lei ha qualche giovane giocatore da consigliargli?

Pellissier è stato un grandissimo calciatore ed è una persona che stimo tantissimo. Quando sono arrivato al Chievo mi ha aiutato. Io non sapevo come funzionava il calcio italiano. Pellissier mi ha dato una grossa mano insieme ad Amauri, a Federico Cossato e a Simone Tiribocchi. Ho un grande rapporto con Sergio. Se posso aiutarlo lo faccio molto volentieri. È stato un grande professionista ed è un grandissimo uomo.

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