Dal trionfo di Wembley al tonfo di Belfast: i 5 motivi del crollo azzurro

Mancanza di gioco e di un vero attaccante, testa pesante, rendimento dei singoli calato drasticamente e i tanti infortuni: cerchiamo di spiegare il fallimento dell’Italia nel girone di qualificazione ai Mondiali 2022

Dal nostro inviato Marco Pasotto

16 novembre – belfast (Irlanda del Nord)

Palloni giocati: 1082 contro 860. Passaggi: 823 contro 693. Contrasti: 27 contro 11. Abbiamo scelto tre parametri – ma ce ne sarebbero altri – per iniziare a raccontare la crisi della nostra nazionale. Le prime cifre sono relative alla finale di Wembley, le seconde alla partita di ieri. Una forbice profonda soprattutto mettendo sul piatto l’importanza della partita – a Belfast lo era, ma una finale europea è un’altra storia ovviamente – e il valore dell’avversario. Questi dati raccontano, per quanto superficialmente, che l’Italia ha smesso di produrre gioco e che ha cambiato atteggiamento – in negativo – nei confronti dell’avversario. E se contro la Svizzera, dopo un primo tempo terribile e terrificante, la ripresa aveva regalato sprazzi di ottimismo, restituendoci l’Italia che avevamo conosciuto, a Belfast l’elettrocardiogramma è rimasto piatto per tutta la gara. Una Nazionale scomparsa, dissolta in tutte le sue componenti: tecniche, mentali e tattiche. Dall’inizio dell’avventura europea alla sprofondo del Windsor Park sono passati cinque mesi. Sicuramente troppo pochi per assistere a una parabola così discendente. Proviamo a spiegarla in cinque passaggi.

1. il gioco

Agli Europei era il nostro top player, ora è sparito

Senza, fai poca strada. E infatti, pur non avendo stelle di primissima grandezza planetaria, l’Europeo lo abbiamo portato a casa perché il gioco c’era. Era il nostro top player. Bello da vedere e divertente per chi lo faceva. Una manovra veloce col pallone sempre a filo d’erba, telecomandato da una fascia all’altra. Spesso eravamo capaci di infilarlo anche centralmente, nel cuore delle difese altrui dove gli spazi sono esigui. Noi li trovavamo. E, quando ci capitava di perderlo, ce lo andavamo a riconquistare a domicilio, nella metà campo avversaria. Difendevamo attaccando, correndo in avanti, e nel momento in cui ce lo riprendevamo c’erano almeno tre soluzioni diverse per arrivare in porta. Ecco, a Belfast di tutto ciò si è celebrato il funerale. Giro palla lento, compassato, noioso, triste. Un calcio involuto, improvvisamente vecchio e stantio, basato su improbabili lanci lunghi e leggibili cross dalla trequarti, invece di arrivare in area col pallone fra i piedi come sapevamo fare. Il tridente leggero che avrebbe dovuto far venire il mal di testa ai nordirlandesi non è praticamente mai stato innescato. Nelle ultime nove partite abbiamo vinto soltanto due volte. A questo dato c’è poco da aggiungere.

2. La testa

Essere campioni è esaltante, ma logora

Che non fosse più sgombra e leggera ormai lo si era capito, anche dalle parole dei diretti interessati. Mancini in vigilia aveva ammesso l’ansia vissuta contro la Svizzera e Bonucci aveva raccontato una cosa ben più grave, spiegando che la squadra aveva perso un po’ di spensieratezza e spirito di gruppo. Hai detto niente. Perché? Perché essere campioni è esaltante ma può risultare logorante. Ogni partita diventa quella da non sbagliare per onorare costantemente la medaglia sul petto, ogni avversario centuplica forze e motivazioni per poter raccontare di aver sgambettato i numeri uno. Ieri sera al fischio finale il Windsor Park ha urlato come a un gol e i giocatori nordirlandesi hanno fatto festa per lo zero a zero. Abbiamo giocato un Europeo facendoci guidare dalla parola chiave di Mancini: divertirsi. Siamo riusciti a farlo persino in finale. Ora non ci riusciamo contro Bulgaria e Irlanda del Nord e ci ritroviamo le teste piene di cattivi pensieri. I

3. Il problema del gol

Senza un Lewandowski, se il motore si inceppa crolla il castello

A volte il calcio è buffo nella sua incoerenza. Adesso c’è persino chi rimpiange l’assenza di Immobile, dopo averlo crocifisso senza appello nei mesi precedenti. La realtà però dice che abbiamo vinto un Europeo mandando in gol sette giocatori diversi in tanti modi diversi. Non abbiamo Lewandowski, ma Pessina, Locatelli e pure Bonucci. Mancini era riuscito a costruire una macchina capace di sopperire piuttosto agevolmente alla mancanza di un centravanti classico. Solo che nel momento in cui il motore si è inceppato, in assenza di un centravanti capace di risolvere autonomamente qualche problema, è crollato tutto il castello. E là davanti siamo diventati inesistenti. Gli ultimi due gol in ordine di tempo sono stati firmati da Di Lorenzo, che di mestiere fa il terzino. Da quando siamo campioni d’Europa abbiamo messo a segno dieci gol in sette partite, ma cinque di questi sono arrivati in un colpo solo contro la Lituania. Dopo quella “manita” ne sono arrivati quattro in altrettante uscite, fra qualificazioni mondiali e Nations League.

4. I singoli

Dov’è finito il Jorginho da Pallone d’Oro?

Puntare il dito su qualcuno in particolare dopo una disfatta è esercizio semplice, ma oltre a un peggioramento drastico delle dinamiche di squadra non si può non notare un calo evidente in alcuni giocatori. Jorginho è l’esempio più lampante. Involuto, lento, impreciso. La controfigura di se stesso e vittima di un chiaro disagio dal dischetto, dopo anni di sorrisi, che lo ha portato a fallire due rigori contro la Svizzera. Il pallone è fatto così: se fossero entrati, staremmo parlando di un altro mondo e organizzando il volo per il Qatar. Questo articolo non esisterebbe e Mancini sarebbe ancora l’eroe di tutti. Barella e Belotti hanno dovuto piegare la testa a livello fisico. L’interista perché non è umanamente possibile restare su certi livelli quando le giochi (quasi) tutte dal primo minuto sia nel club che in Nazionale. Il granata perché le lunghe assenze dal palcoscenico si pagano e la ruggine incrosta i muscoli molto più in fretta di quanto si impiega a raschiarla via. Da Insigne, l’uomo di maggior tecnica, sarebbe lecito attendersi qualcosa in più di un lancio smarcante – bellissimo, per Di Lorenzo – a partita. Anche se la recita da falso nove impone altri movimenti. Chiesa è devastante sotto certi aspetti, ma ci sono partite – come quella di ieri – in cui non riesce a correggersi tatticamente. E dà anche l’impressione di non ascoltare le indicazioni di compagni e allenatore. Una citazione la merita anche Donnarumma, che si è definito disturbato dal perenne ballottaggio con Navas a Parigi. Sia come sia, ma con la Svizzera e a Belfast nel finale ha commesso due leggerezze gravi gravi, risolte entrambe da Bonucci, che potevano costare la sconfitta.

5. Gli infortuni

A Belfast ne mancavano undici…

Alla vigilia di Belfast si poteva buttar giù addirittura un’intera formazione di assenti. Un “bel” 4-3-3 con Sirigu in porta, Calabria, Chiellini, Bastoni e Spinazzola in difesa, Pellegrini, Sensi e Verratti a centrocampo, Zaniolo, Immobile e Kean davanti. Un undici interessante, peraltro. Presentarsi con questo elenco della spesa nel momento topico delle qualificazioni ha un peso specifico importante. Perché Chiellini è un senatore in campo e nello spogliatoio, Spinazzola la nostra Alta Velocità in fascia, Zaniolo la forza abbinata alla tecnica. E a mancare, soprattutto, è stato Verratti nel cuore della squadra, con il suo palleggio stretto e veloce. Ovvero ciò che ci è mancato nelle ultime uscite. Mancini ha visto sparire un tassello dietro l’altro giorno dopo giorno e, oltre certi limiti, anche la squadra campione d’Europa può legittimamente risentirne.

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