Dal rimpianto Juve ai qui pro quo con Southgate, riecco Big Mac: “E su Sarri…”

Big Mac, di nome e di fatto da sempre, persino da quando questo soprannome non esisteva nemmeno. Estate 1994: l’Italia di Baggio insegue il sogno Mondiale e Massimo, fruttivendolo per volere di papà, ha chiesto di uscire dal negozio mezz’ora prima per seguire gli Azzurri. Gli dicono di ‘no’, così lui rovescia una cassetta di frutta e vola via, senza paura di perdere tutto. Lo stesso spirito con cui anni dopo ha accettato la sfida Middlesbrough, fabbrica di emozioni e di quel carattere da combattente che porta con sé. Il 2006 è stato dolce e amaro, come il ritorno in Italia, dove mamma Empoli e Sarri lo hanno accolto a braccia aperte. Big Mac si aspettava un epilogo diverso con il calcio giocato, ma ora lavora sodo per iniziare  la sua nuova avventura col piede giusto. Massimo ha voglia divertirsi ancora, questa volta in panchina.

Massimo, come è andata la sua prima esperienza in panchina? Le manca giocare?

Ho smesso un anno fa. Fare il secondo di Silvio Baldini a Carrara non mi ha fatto mancare il terreno di gioco. Nei primi due-tre mesi mi sono allenato con la squadra. Essere sul campo ha alleviato il dispiacere di aver smesso. Ho fatto il calciatore per tanti anni, quando ho visto che gli avversari andavano più forte di me ho pensato che fosse giusto ritirarmi. Il calcio mancherà sempre: è così per chi ha giocato. Bisogna capire quando smettere per cominciare un nuovo percorso. Essere rimasto in campo ha facilitato le cose.

Che cosa rappresenta Silvio Baldini per lei?

Baldini è stato la mia guida vent’anni fa, mi ha aiutato nel mio percorso di crescita calcistico e umano, è stato un punto di riferimento per me. L’ho ritrovato come insegnante a fine carriera. Ho appreso tanto dagli allenatori che ho avuto. Baldini è stato il più importante perché mi ha guidato per tante stagioni.

Com’è nato il suo amore per il calcio?

Come succede a tutti. Ho un fratello maggiore, più grande di me di due anni. Da bambini passavamo il tempo sempre insieme col pallone tra i piedi, condividevamo questa passione. Facevamo il cosiddetto calcio da strada nei parchetti oppure sotto casa.

Lei è cresciuto nel Milan di Capello: che cosa le ha lasciato quest’esperienza?

È stato importante per me, ho avuto la fortuna di essere guidato da grandissimi tecnici che mi hanno insegnato tanto. Nella parte finale dell’esperienza con la Primavera del Milan poi mi allenavo con la prima squadra e anche questo mi ha fatto crescere. C’erano tantissimi campioni.

È vero che si è fatto licenziare per seguire il Mondiale 1994?

Sí, non andavo bene a scuola, mio padre voleva che capissi quanto fosse dura la vita e sono andato a lavorare. Facevo il fruttivendolo d’estate dalle 15 alle 21. C’erano i Mondiali. Un giorno per seguire una partita dell’Italia chiesi di andare via eccezionalmente mezz’ora prima, il capo però non me lo fece fare. Allora combinai un po’ di danni per farmi licenziare e andare a vedere la partita.

All’Empoli lei ha giocato con Di Natale: che cosa ricorda di Totò?

Eravamo molto giovani, arrivavamo entrambi da un’esperienza in Serie C. Si vedeva che Totò era diverso dagli altri, col pallone faceva quello che voleva. Eravamo compagni e amici. La sua famiglia vive ad Empoli. Ci siamo incontrati spesso in città quando sono tornato a giocare in Toscana.

Nel 2002 lei poteva andare alla Juve, l’Empoli ha accettato l’offerta del Middlesbrough più vantaggiosa: questo ha condizionato la sua carriera?

Ha cambiato qualcosa. È stata una delle poche scelte che non ho preso io. Volevo andare via, ma non ho potuto decidere la mia destinazione. Però non rimpiango niente. Giocare in Inghilterra è stato stupendo. Abbiamo vinto una Coppa di Lega e siamo andati in finale di Europa League. Poi la Premier League è uno dei campionati più belli al mondo.

Che cosa ricorda di Southgate?

È stato prima mio compagno e poi mio allenatore. Quando sono arrivato era il capitano della squadra. Ricordo un uomo molto pacato, un grande lavoratore, un ragazzo sempre pronto ad aiutarti. Mi ha dato una grossa mano come giocatore. Poi è diventato allenatore e abbiamo avuto un po’ di problemi, non ci siamo trovati. Potevo andare via, Southgate mi ha chiesto di restare e l’ho ascoltato, poi però non mi ha dato tante possibilità di giocare e allora ho scelto di partire.

Com’è stata l’esperienza in Inghilterra?

Importante. Ho conosciuto da giovane un calcio diverso dal nostro. Giocare in Premier mi ha formato dal punto di vista caratteriale, mi ha fatto entrare in contatto con una cultura diversa. Gli inglesi non erano scaramantici e non lo sono nemmeno oggi, come abbiamo visto. È cambiato il resto: vent’anni fa le squadre erano guidate da allenatori britannici, nelle ultime dieci stagioni hanno chiamato tecnici da tutta Europa e questo ha portato tante novità nel modo di giocare e di pensare il calcio.

Che cosa ha sbagliato Southgate contro l’Italia in finale?

L’Inghilterra ha fatto un grande Europeo, quando perdi ai rigori non puoi parlare di errori. Se fosse successo all’Italia ci saremmo chiesti la stessa cosa, al contrario, e non sarebbe stato giusto. I rigori sono una lotteria. Aveva giocatori esperti, ma ha optato per altri tiratori: forse il Ct ha sbagliato questo.

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