Dal Pallone d’oro a quel rigore. Arcangeli: “Roby ha letto il copione e…”

L’attore interpreta Baggio nel film “Il Divin Codino” su Netflix: “La parte più difficile? Il rigore di Usa ’94”

Te lo do io “Il Divin Codino”. “A un certo punto Robi porta sul set il Pallone d’oro. Occhio: il vero Pallone d’oro. Pregiato e pesante da paura. Quando giro la scena, entro in un attimo magico, assolutamente unico: vedo il mio volto riflesso e il nome Roberto Baggio. Ed era il ‘93, il mio anno di nascita…”. Andrea Arcangeli, lo si capisce e lo si vedrà, è il Roberto Baggio di Il Divin Codino, il film Netflix, prodotto da Fabula Pictures in associazione con Mediaset e Trentino Film Commission. Un film decisamente abbracciante.

Papà

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Parte oggi. Il Divin Codino riprende a “giocare” in questi giorni. Da vedere e rivedere perché riflette sì quel che ha fatto e irradiato Baggio sul campo ma anche perché il film si infila con dolcezza, introspezione e delicatezza nella vita di Robi. “Il rapporto/confronto che ha avuto col papà Florindo è stato il filo conduttore e d’oro del lavoro che abbiamo fatto – racconta Letizia Lamartire, regista del film -. E credo che proprio questo confronto col padre sia la cosa riuscita meglio. Perché oltre che calciatore, Robi è figlio, padre e marito”. Qualcuno, ovviamente qualche tifoso, penserà che non tutte le squadre sono state messe nel film. “Abbiamo dovuto fare delle scelte – continua Lamartire -, inevitabili. Com’è nata l’idea? Da un folle innamoramento dei produttori. E poi sono entrata io, che avevo Baggio come idolo del mio papà. Robi? È stato sempre presente in ogni fase del progetto, spesso anche sul set. Ricordo che una volta siamo andati a casa sua col copione e lui e Andreina hanno letto le rispettive parti. È stato coinvolgente. Sono molto contenta del prodotto che ne è uscito, anche perché inizialmente credevo fosse un passo troppo più lungo della mia gamba, invece…”.

Quel rigore

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Il calcio è (anche) pretesto per raccontare una vita. Fatta di infortuni e riprese, il buddismo, le ricadute e le resurrezioni, soprattutto di un sogno che anima la forza di Robi, sempre vicino al suo amico-manager Vittorio Petrone: battere il Brasile nella finale Mondiale: “La scena più dura è stata proprio riprodurre il rigore di Usa ‘94 – aggiunge la regista -. Restituire quindi una verità dilatando il tempo e tenendo il filo del film”. La sensazione è che il protagonista non abbia voluto fare un’imitazione ma abbia cercato di far suo il personaggio. Tentativo riuscito. “Nelle varie volte in cui ci siamo visti – riprende Andrea Arcangeli – Roberto mi ha detto: “Viviti questa esperienza, è tutta tua e tua rimarrà”. Lo ha detto rispettando il mio lavoro e mostrando la sua semplicità. Un altro, magari, avrebbe detto “Fai così, no devi fare così”. Lui si fidava. Ho studiato la sua cadenza giorno e notte: mi addormentavo con una playlist di sue interviste, sentendo la sua voce. La cosa più difficile? Imparare a muovermi come lui…”. Tifoso “un po’ della Roma e un po’ del Pescara”, Andrea chiude così: “Robi è un tipo sobrio, semplice, una persona molto silenziosa che esce con perle meravigliose di ironia. Dal film emerge un grande essere umano e il suo rapporto col padre: ci teneva che venisse bene, anche perché Florindo è venuto a mancare proprio mentre facevamo le riprese”. Il finale, poi… Buon Divin Codino.

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