Da Weir a Capuozzo, in azzurro per eredità. Il baseball esagera…

Il caso Retegui, che non ha mai visto l’Italia ma giocherà nella Nazionale di Mancini, ha precedenti in altri sport, e anche in questo caso i figli di immigrati nati in Italia, restano in attesa

All’inizio furono i Monti e gli Orsi, gli oriundi per eccellenza, che innervarono di nerbo atletico e dribbling ubriacanti l’Italia mondiale di Vittorio Pozzo negli anni 30. Da allora, lo sport italiano ha ricevuto un contributo fondamentale da chi aveva antenati di sangue italiano e aveva deciso di mettere il proprio talento al servizio del Tricolore. Ma adesso che Roberto Mancini sembra deciso ad affidare le chiavi dell’attacco azzurro a un giocatore argentino che l’Italia l’ha vista solo in cartolina ma che ha un nonno di Canicattì, appare palese una contraddizione ancora irrisolta: chi ha ascendenze seppur lontanissime e spesso non parla neppure la nostra lingua può approdare in Nazionale in un batter di ciglia, mentre ragazzi nati in Italia ma da genitori stranieri possono gareggiare da italiani ma non vestire l’azzurro fino ai 18 anni.

Pesi e misure

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Emblematico il caso di Great Nnachi, promessa dell’atletica, padre e madre nigeriani ma nata e cresciuta a Torino: da junior ha infilato un record dietro l’altro nel salto con l’asta (personale di 4.30) e nello sprint (7”42 sui 60) e affinché venissero considerati nuovi primati italiani di categoria, la Federazione Italiana di Atletica Leggera (Fidal) ha modificato il regolamento, aprendo di fatto anche agli atleti stranieri – purché residenti in Italia, tesserati per una società italiana e frequentanti una scuola italiana – la possibilità di gareggiare nelle competizioni nazionali. Per lo sport, Great era italiana, per lo Stato lo è diventata solo alla maggiore età, mentre nel frattempo i pesisti Zane Weir (fresco oro europeo indoor) e Nick Ponzio potevano indossare la maglia azzurra grazie a un nonno di Trieste e a un bisnonno siciliano.

Gli altri sport

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Benvenuti, sia chiaro: nell’era della globalizzazione non serve alzare steccati. Tuttavia è difficile spiegare a un promettente ragazzo nato da noi, ma straniero per famiglia, che dovrà aspettare i 18 anni per coronare il sogno azzurro, mentre si aprono le porte agli eredi di lontani progenitori italiani. Nel rugby, si può diventare italiani o per radici (nonno o nonna del nostro Paese nell’albero genealogico, come per Ange Capuozzo, francese di radici napoletane) ma anche con 5 anni di tesseramento continuato per una squadra della nostra federazione. Una strada che ha percorso a suo modo anche il volley con la norma sul primo tesseramento: sono considerati italiani anche i ragazzi stranieri che non siano mai stati tesserati in un altro Paese, anche se ovviamente non potranno giocare in nazionale fino ai 18 anni. Nel basket, qualunque sia il luogo di nascita, se il minorenne può accedere alla cittadinanza italiana prima dei 16 anni viene considerato italiano a tutti gli effetti, ma nel caso non abbia maturato quel diritto diventerà cittadino solo ai 18 anni anche se nato in Italia. Questa fattispecie si definisce con il brutto termine di “asteriscato” e in Nazionale può giocarne solo uno: significa ad esempio che se Paolo Banchero, stellina Nba che optò per il nostro passaporto a 17 anni, dovesse scegliere l’azzurro, non potrà essere convocato nessun altro con uno status uguale al suo. Esiste poi il caso estremo del baseball, che al World Classic ha portato una nazionale con 24 oriundi, una situazione che ricorda l’hockey ghiaccio dei fenomenali paisà degli anni 80 e 90. Oggi il Blue Team sui pattini ha ridotto a 5 il numero degli oriundi e in vista dei Giochi di Milano-Cortina la federazione ha deciso che gli oriundi possano essere convocati solo se giocano nel campionato italiano.

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