Cristiano Ronaldo prigioniero di sé stesso

I tifosi dell’Atletico sono stati molto espliciti: non lo vogliono vedere manco in fotografia. Quelli della Roma, quando ingravidati dalla favola (super spaziale cavolata) del suo arrivo nella capitale, non riuscivano proprio a scaldarsi più di tanto, anzi i più arricciavano il naso e quelli che si scaldavano era più per l’avvenenza fotoromanzesca del nome fuori di sé che del calciatore in sé. Chelsea e Bayern, per bocca di Tuchel e dei dirigenti, l’hanno elegantemente rimbalzato (“Grande giocatore, immenso, ma non rientra nei nostri piani”). Barcellona? Nemmeno a parlarne. Tornare a Madrid? Carletto si farebbe sparare, piuttosto. Il suo fenomeno ce l’ha e guai chi glielo tocca, si chiama Benzema. Soprattutto, ha un’idea molto chiara di quanto non sia casuale che il francese si scopre stratosferico il giorno in cui il portoghese se ne va altrove.

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A volerlo realmente in questa estate afosa è stato qualche solito sceicco, club arabi disposti a rovesciargli addosso ciò di cui non ha bisogno, montagne di dollari, e il suo club attuale, lo United, costretto a volerlo pubblicamente perché figuratevi se può dire altrimenti. Più esplicito Ronaldo molto meno Ten Hag e soci, la verità è che, giocatore e società, non vedono l’ora di scaricarsi vicendevolmente. Senza riuscirci per ora, perché Cristiano continua ad avere un’esagerata idea di sé e dunque disprezza l’idea di finire a fare il barboncino di lusso nei giardini dello sceicco. E poi perché, udite udite: nessuno lo vuole.

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Sta di fatto che di questi tempi nell’Europa del calcio che conta è più attraente Gianluca Scamacca che Cristiano Ronaldo. Il punto è che il mondo intorno comincia a farsi domande che non hanno a che fare solo con l’età e lo spropositato ingaggio del divo di Madeira. Sacrilegio? Iconoclastia? L’ennesima caduta degli dei? Non proprio. La vera domanda è: perché il portoghese nonostante la disumana evidenza dei suoi numeri non si è mai conquistato davvero un posto nel Pantheon dei calciatori divini? Dei Messi oggi, dei Maradona, dei Crujff e dei Pelé ieri, per non parlare del suo omonimo brasiliano, il Fenomeno, che avrà forse un quinto dei suoi numeri statistici ma dieci volte più celebrato dai suoi stessi colleghi prima ancora che dalle masse idolatriche.

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La possibile risposta? Cristiano Ronaldo si porta dietro, e non da oggi, la fastidiosa idea di un giocatore azienda, un giocatore marchio, un giocatore che fa club a sé, decisamente votato alla propria causa. Non sarà vero, forse, ma è l’idea che suggerisce. Fateci caso, in tutte le storie divine del calcio la star di turno non puoi scollarla dalla storia del suo club, quello con cui ha vinto sì, ma soprattutto quello con cui ha lottato e si è identificato. Quello dei grandi racconti che ha generato. Il calcio cambia. Non cambierà mai una cosa: sarà sempre l’impresa di un gruppo, mai di un individuo.

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