Cribari: “Oggi ho una scuola calcio, in Qatar tifavo Messi. E quei derby con la Roma…”

Il nome in omaggio ad una persona speciale, i piedi in Italia per dieci anni e più con il Brasile nel cuore, il ritorno a casa sempre col pallone tra i piedi. Oggi Emílson Cribari ha 42 anni e vive dove è cominciato il suo sogno

Simone Lo Giudice

6 gennaio

Anni 80′, un vecchio televisore in bianco e nero acceso nel salotto di casa Cribari. Il papà chiama a sé il piccolo Emílson, prima gli indica di mettersi comodo sul divano, poi gli dice di aprire bene gli occhi per ammirare le meraviglie di Pelé. Una storia vista in tante altre famiglie del Brasile, dove è nata e si è spenta la ‘Perla nera’, l’uomo che col talento ha reso il suo Paese il più luminoso nel mondo intero. Emílson ricorda quei pomeriggi in cui è nato il suo amore per il pallone, che lo accomuna da sempre al fratello Binho e allo zio materno, scomparso in un incidente nel 1977, di cui l’ex difensore porta orgogliosamente il nome. Cribari non dimentica il suo decennio abbondante di carriera passato dall’altra parte dell’Oceano Atlantico in Italia tra Empoli e Roma sponda Lazio, la città del derby e delle stagioni europee. E poi Napoli e Udine e Siena. Nella vita di Emílson c’è stata e continua ad esserci tanta Italia nei suoi affetti e nella vita di tutti i giorni nel suo Brasile, dove è tornato per stare bene e insegnare calcio.

Emílson, che cosa ha scelto di fare dopo il ritiro dal calcio giocato?

Sono tornato in Brasile: qui mi sono sposato, qui vivono i miei genitori e le mie sorelle. Anche la famiglia di mia moglie è di origini brasiliane. Ho preso questa scelta per stare vicino ai miei cari e ai miei amici. Però ho un fratello che vive in Italia.

E lei di che cosa si occupa oggi?

Gestisco la scuola calcio C25 con più di 300 allievi. Fa parte di un complesso sportivo più grande, dove ci sono anche un ristorante italiano e un piccolo bar sempre italiano. Nella nostra struttura è possibile praticare sport di sabbia come beach tennis, footvolley e beach volley. La mia passione più grande è lavorare con i bambini.

A proposito di Brasile: sono giorni duri per la morte di Pelé. Che cosa ha rappresentato per voi?

È stato il primo grandissimo calciatore del nostro Paese, il migliore di tutti, un motivo di ispirazione per tutti noi brasiliani. Ci ha reso orgogliosi perché ha portato il nome della nostra nazionale ovunque. Grazie a lui noi siamo stati rispettati in tutto il mondo. La sua morte è stata un duro colpo per me e per i miei connazionali.

Ha un ricordo legato ad O Rei?

Io sono nato nel 1980 perciò non appartengo alla generazione che ha avuto la fortuna di vederlo giocare dal vivo. Di Pelé ho visto soltanto tanti video. Quando ho cominciato a dare i primi calci al pallone però mio padre mi parlava e mi mostrava tutto di lui. È stato fin da subito un esempio per me che allora ero solo un bambino.

Quanto vi ha fatto male l’eliminazione del Brasile ai quarti di Qatar 2022?

Per noi il Mondiale è importantissimo. Quando gioca la nostra nazionale non lavora nessuno, il Paese si ferma per vedere la partita. Nel nostro Paese il calcio è più che uno sport, è una religione. Ci ha fatto malissimo assistere all’eliminazione del Brasile.

Che cosa ha sbagliato il c.t. Tite in Qatar?

Il Brasile aveva la squadra migliore. Siamo rimasti un po’ fermi nel tempo dal punto di vista tattico. C’è un problema culturale. Pensiamo ancora al calcio a ritmo di samba. Per vincere un Mondiale in passato bastava la capacità tecnica dei giocatori, oggi però non è più così. Vedere calciatori che cantano e ballano prima di vincere il trofeo a me, che sono sì un brasiliano ma con una forte mentalità calcistica italiana, mi ha dato fastidio. Questa cultura del giocatore verdeoro che canta e balla non è più vincente oggi.

Da brasiliano le ha fatto male vedere l’Argentina vincere il Mondiale?

Ho un legame importante con molti di loro. Ho avuto tanti compagni di squadra argentini in Italia: dal Pocho Lavezzi al Pampa Sosa, alla Lazio ho giocato con Cristian Ledesma, Mauro Zàrate e anche con il commissario tecnico argentino Lionel Scaloni. Non dimentico nemmeno il grande Néstor Sensini all’Udinese, un professore della difesa a Udine. Mi sono trovato benissimo con tutti gli argentini, sempre molto leali e grintosi, che danno tutto in campo. Ho tifato per loro dopo l’eliminazione del Brasile. Sono felice per Lionel Messi: il Mondiale è stato il coronamento di una carriera fantastica. Io e altri brasiliani siamo contenti per lui.

Lei com’è diventato calciatore invece? Era circondato da sportivi?

Mio zio si chiamava Emílson ed è stato il primo giocatore professionista in famiglia negli Anni ’70. Purtroppo è morto in un incidente stradale nel 1977. Quando sono nato la mia mamma ha voluto omaggiare suo fratello chiamandomi come lui. E poi c’è stato mio fratello Fabio, per tutti Binho, che ha giocato con Empoli, Lucchese e Livorno. È stato in Italia tra la fine degli Anni ’90 e il 2006. Siamo orgogliosi di avere tre ex calciatori professionisti. Speriamo che i nostri piccoli in futuro possano fare altrettanto.

Lei ha giocato nella nostra Serie A per quasi tutta la sua carriera: si sente un po’ italiano?

Sì, molto. Ho tantissimi amici in Italia. Ho giocato per 13 stagioni nel vostro campionato, praticamente il 90 per cento della mia carriera. Sono grato al vostro Paese e alle mie ex squadre. Sono stato ben voluto, sono diventato un calciatore e un uomo. Mi sento molto italiano. Ogni giorno mi capita di parlare con amici originari del vostro Paese. Spero di poter tornare da voi in futuro.

Domenica c’è Lazio-Empoli: questa partita che cosa significa per Cribari?

Rappresenta dieci stagioni: sei all’Empoli, quattro alla Lazio. Mi fa venire in mente una parte meravigliosa della mia carriera. La guarderò, ma non farò il tifo per nessuna delle due perché voglio bene ad entrambe. È difficile dire dove sono stato più felice.

Qual è stato il momento più bello all’Empoli?

Sono molto grato alla società per come mi ha accolto quando ero un ragazzino. Ho avuto la fortuna di conquistare lo scudetto Primavera nel 1999 e il Torneo di Viareggio nel 2000 e di vivere momenti speciali. Con la prima squadra poi ho vinto la Serie B e ho giocato due campionati in A: sono stati successi dal sapore diverso, ma altrettanto importanti per la mia formazione.

Che cosa ha rappresentato la Lazio invece?

A Roma ho raggiunto il momento più alto della mia carriera. Con i biancocelesti ho giocato le Coppe europee. Ricordo la notte della qualificazione in Champions League dopo aver superato la Dinamo Bucarest ai preliminari nell’estate 2007. Giocare contro il Real Madrid nella fase a gironi con l’Olimpico tutto esaurito e sentire quella musichetta è stato l’apice di quegli anni felici. Non dimentico i derby vinti: su tutti il 3-0 alla Roma il 10 dicembre 2006, presi anche una traversa. Sono molto legato alla Lazio.

Com’era Simone Inzaghi da compagno di squadra?

Avevamo un bellissimo rapporto a Formello. Ricordo un ragazzo genuino, uno di quelli che fanno bene al gruppo. Simone era un grande giocherellone. Si vedeva già che capiva il calcio in una maniera diversa rispetto a tanti suoi compagni. Ha dimostrato di possedere una grande personalità. È diventato un grande allenatore. Sono fiero di lui.

Che cosa gli manca per vincere uno scudetto da allenatore?

Penso che sia solamente una questione di tempo. Arriverà presto.

In testa alla Serie A c’è Luciano Spalletti, suo ex allenatore all’Udinese 2004-05: com’era il mister allora?

Era un allenatore molto intelligente, attento alla tattica, che credeva moltissimo sugli esercizi settimanali a ripetizione. Ci faceva lavorare tantissimo sotto l’aspetto fisico. Poi sapeva gestire benissimo il gruppo dei giocatori: penso che questa sia la principale differenza tra un mister competente dal punto di vista tattico e un altro più completo che può aspirare a vincere. 

Il suo Napoli vincerà lo scudetto quest’anno?

Spero che sia l’anno giusto. Sono sicuro che lotterà fino in fondo. Sta facendo benissimo, sconfitta contro l’Inter a parte.

Ha un sogno per il futuro? Le piacerebbe tornare a fare calcio in Italia?

Sono felice del mio progetto qui in Brasile. Sono stato lontano da casa per quindici anni, adesso voglio godermi la mia famiglia. Voglio cercare di dare qualcosa di mio ai ragazzi brasiliani. Desidero condividere con loro le mie esperienze da calciatore. Voglio insegnare tante cose a questi bambini. In futuro però mi piacerebbe tornare in Italia, magari tra quattro o cinque anni. Ne parlo spesso con mia moglie. Potrei mettermi a studiare per prendere il patentino da allenatore e iniziare una nuova carriera in Italia.

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