Conti: Io ct del Venezuela, scrivo la storia e torno in Italia

IL MONDO DI CONTI. «Basta dire Taverna Conti e ti portano alla trattoria della mia famiglia, tutti sanno dov’è. Ballarò è il mio mondo, è la parte migliore di me perché non mollo mai, ho una personalità molto forte, cerco sempre una via di uscita, so lottare, sono generosa; ed è la parte peggiore di me perché non ho tante regole, spesso vado avanti di testa mia. Qui anche chi non arriva a fine mese ti offre qualcosa, ti apre la sua porta. Non ho mai avuto paura di viverci. Evito magari di rientrare la notte da sola. Ho assistito a molte liti, spesso bianchi contro neri. Droga invece non ne ho mai vista. Non bevo, non fumo, mai avuto vizi. Posso dire che il pallone mi ha salvato la vita, che è anche il titolo del libro che ho scritto, la mia biografia, uscirà a breve».

Pamela Conti, ex calciatrice, allenatrice e ora ct del Venezuela femminile, nomade del calcio, ha lasciato Palermo quando aveva diciassette anni. A Palermo deve aver lasciato la parlata tipica del capoluogo, diversa da ogni altra parlata siciliana, raramente rappresentata nella retorica cinematografica. Pamela ha un accento un po’ straniero per via di tutti gli anni vissuti all’estero, nel suo bagaglio infatti ci sono cinque lingue parlate. Prevale una cadenza iberica, d’altra parte in Spagna ha speso la maggior parte del suo tempo e della sua attività. oggi vive a Madrid perché in Liga c’è la maggior parte delle venezuelane e ha modo di visionarle restando in Europa. «Ho giocato in Spagna, America, Russia, nella Torres (a Sassari, ndr) e ho chiuso la carriera in Svezia. Sono stata tra le privilegiate che aveva uno stipendio vero che mi permetteva di vivere di calcio». 

UN AFFARE DI FAMIGLIA. Ha smesso di giocare a 32 anni, tutto sommato presto. Come presto ha cominciato. Accade così se vivi la strada. «Nella mia famiglia sono tutti calciatori, non potevo non esserlo anche io. Hanno giocato nel Palermo mio padre, mio zio e i miei fratelli. Io ho iniziato con gli amici per strada, allora era normale, perché era normale stare per strada o all’oratorio Santa Chiara. Fino a 14 anni ho giocato coi maschi, nei Rangers. Poi sono passata alle Aquile in serie D. Mio papà, e con lui tutta la famiglia, mi ha sostenuto perché ha capito che ero brava. Lui purtroppo non c’è più ed è la perdita più dura della mia vita. Indescrivibile dolore. Era il mio modello».

Pamela giocava trequartista, l’ambitissimo numero 10, almeno finché le maglie erano ruoli e ancor di più simboli. A Sassari ci è arrivata con la “raccomandazione” di Rita Guarino, fresca coach dell’Inter dopo aver lasciato la Juventus con 4 scudetti. «Ero stata convocata in Nazionale – ricorda la palermitana – avevo solo 16 anni e mi sono ritrovata con le più grandi: Guarino, appunto, Patrizia Panico, Antonella Carta per citarne alcune. E’ stata Rita a suggerire alla Torres di prendermi. Ero numero 10, Panico mi chiamava Cassano».

LA SCUOLA CALCIO. La fine del gioco e il ritorno a Palermo, con un futuro da inventare e la Taverna Conti che non fa per lei, non è il suo posto, sì ogni tanto un piccolo aiuto a servire ai tavoli, ma “il pallone è l’unica cosa che so fare” suona come un refrain, la giusta unica direzione. «Io ferma non so stare e quando ho smesso di giocare e sono tornata a Palermo ho aperto una scuola calcio, per i bambini di Ballarò, per toglierli dalla strada. Quando sono andata ad allenare le giovanili dell’Atletico Madrid, la scuola calcio l’ho affidata a mio fratello Vincenzo. Poi però è arrivata l’occasione del Venezuela e Vincé mi ha seguito, è il mio vice, e la scuola abbiamo dovuto chiuderla».

LA SCOMMESSA. La vita è tutta un treno, si sale si scende, si viaggia, si arriva tardi e si perde, si arriva in anticipo e si aspetta, si sbaglia anche binario a volte. Il Venezuela è un viaggio nel vuoto, una scommessa che se vinci esisti se non vinci nessuno si accorge chi sei, a nessuno interessa quanto e cosa hai investito nella tua scelta. Il Venezuela è una nazionale da inventare, con una logistica scombinata, ma forse meglio così. «In Venezuela ci devo andare ogni sei mesi. Le ragazze le visiono e alleno in Spagna, quando ci raduniamo. L’obiettivo è qualificarci per il Mondiale del 2023, sarebbe la prima volta. L’anno prossimo avremo la Coppa America. Ho un’ottima squadra. Purtroppo abbiamo lavorato poco, sia per la pandemia sia perché è morto il presidente e tutto si è fermato. Io sono convinta che al Mondiale ci arriviamo. Quando sono andata per le presentazioni, che quella fosse la mia squara l’ho capito subito nello spogliatoio”.

La pandemia ha rallentato e un po’ frenato tutto. “Quando è esplosa e hanno chiuso tutto sono rimasta incastrata a Caracas  Bloccata in hotel. Ho fatto tanto sport, spesso salivo i 12 piani a piedi perché lì l’elettricità a un certo punto la staccano. Insomma, sono più allenata adesso che quando giocavo».

Il Venezuela è una terra disperata, difficile da vivere, impoverita drammaticamente dal crollo del prezzo del petrolio su cui si regge l’economia. E le sanzioni internazionali il confine con l’abisso. Povertà, corruzione, deliquenza. Quartieri gestiti da gang criminali che si sono sostituite allo stato. Pericolosa la vita a Caracas… “La situazione politica è quella che è. Io in Venezuela sono stata accolta benissimo. Hanno poco, e lo dividono, e hanno un cuore grande. In giro da sola non posso andare, ho sempre qualcuno accanto e la sera si esce poco. Caracas mi ricorda un po’ Palermo, forse mi piace per questo. Ho chiesto al medico della squadra se mi portava a vedere la favela più grande del Sudamerica. Mi ha detto “sei pazza”? Ho insistito così tanto che mi ci ha portato. Una vera esperienza di vita, che va oltre l’immaginazione. Appartamenti uno sopra all’altro, senza finestre, e bagni all’aperto. Bisogna stare attenti a tutto. Però, non so, mi sentivo a casa, con tutta quella gente per strada sembrava di stare a Ballarò, ed erano solo le 6 del mattino, l’ora migliore. Siamo rimasti in macchina, vietato scendere”.

COSA SI VINCE COSA SI PERDE COSA SI CERCA. Il viaggio della ct Conti è iniziato nel 2019, poi il Covid ha frenato tutto, anche il suo lavoro, ricominciare cercando di annullare il tempo perduto non è facile. Ma dopo i mondiali femminili che ne sarà di lei? Quanti sacrifici avrà sommato alla fine della storia? «E’ un’esperienza che mi arricchirà, l’incarico è importante. Poi si vedrà, intanto continuo a studiare per prendere il patentino Uefa Pro. Certo qualcosa la sacrifico. Per esempio la visibilità in Italia. Però prima ci sarà la Coppa America e se poi ci qualificheremo ai Mondiali scriviamo la storia. E io voglio fare la storia».

L’Italia è una sorta di ferita aperta, inutile negarlo. «Per me è una rivincita quello che sto facendo. In Italia non c’è stato spazio finora per me. Non ho mai chiesto favori a nessuno, sono molto chiusa, schiva. Farò parlare i risultati come sempre. Se adesso sono quella che sono lo devo ai miei meriti. E’ ovvio, vorrei tornare in Italia».

Il ritorno è un pensiero fisso per chi lascia la propria terra. «Quando sono lontana Palermo mi manca, soprattutto d’estate. Io vivo a 10 minuti da Mondello. Mi manca il mare, gli amici, la famiglia, però dopo un po’ che ci sto voglio andare via. Tornare a lavorare a Palermo è difficile, si investe molto poco. Però spero che qualcosa cambi, farebbe bene alla città».

UOMINI CHE TEMONO LE DONNE. Magari succederà un giorno che alle donne siano affidate squadre professionistiche maschili. «La strada è aperta, si va in quella direzione. In Spagna tra una decina d’anni accadrà». Dieci anni in Spagna valgono in Italia almeno il doppio, succederà ovvio che succederà, ci vuole pazienza, tanto il calcio non è destinato a finire, tra tutte le cose che in periodi di crisi chiudono o annunciano il funerale, il calcio no, deve solo reiventarsi, trovare e dare e darsi nuovi stimoli. A una Superlega forse opporre le donne è la vera rivoluzione, affindando loro i maschi. In fin dei conti come li si mette al mondo e li si cresce si sarà capaci di dirigerli in campo, senza pregiudizi. 

Se hai l’anima del pallone che ti governa sai che la vita è un rotolare sempre in avanti: anche quando sembra andare indietro verso la tua porta, per l’avversario quello è il suo avanti. Se hai quest’anima, questa visione, sai fare progetti a scadenza e sai rinnovarli, senza paura, senza mettere paletti, senza rigidità e chiusura ma ammorbidendosi sulle possibilità. Perché come una partita, anche la più scontata, può rivelare un risultato diverso da quello ipotizzato, così la vita non è scontata e a nessuno fa sconti, e gioca al rialzo. E com’è stata la scelta del Venezuela per Conti che ferma non sa stare, ad aspettare poi… Per quel poco che si mette in pausa, si concede la cucina e il mare e pensieri d’oltre confine, d’oltre pallone. «Amo cucinare, panelle e anelletti al forno sono la mia specialità. Ma il piatto che preferisco è la pasta con gli scampi e i ricci. E amo Palermo d’estate perché vado al mare, a Mondello o all’Addaura, e tutti i giorni mi alleno al Foro Italico vista mare. Però voglio comprare una casa a Valencia e stabilirmi lì. E’ una città bellissima».

FIGLIO VERRA’. La solitudine è una scelta, forse obbligata, ma è sua e la fa stare in pace con se stessa. «Nel mio peregrinare mi sono fatta amici veri. Sono sola perché parto spesso, non so dove vado né quando torno e se ritorno. Ho scelto questo e non è giusto legare a me una persona che mi segua o mi aspetti. Però voglio un figlio, voglio essere madre. Lo farò dopo i Mondiali del 2023, e sarò una mamma single».

Ci vuole coraggio a scegliere il modo di stare nella vita, più ancora che le strade della vita. Pamela Conti ha scelto il suo modo e la solitudine non è un problema se dà e prende amore in quello che fa. «Amo insegnare il calcio. Volevano affidarmi tutta la nazionale femminile per il rilancio, non solo la maggiore, ma io ho detto no, perché si tratterebbe di andare a vivere in Venezuela e non è quello che voglio. Questo è il presente, il futuro è altro, è… tornare in Italia»

Quando si ferma la ct del Venezuela, nata a Ballarò, Palermo, quel po’ che riesce a stare ferma, sarete fortunati di trovarla a servire ai tavoli della Taverna Conti, accade eccezionalmente, più facile trovarla a teatro a vedere un musical o a leggere un libro, prevalentemente storico, il genere che ama di più. Facile per una che la storia vuole scriverla.

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