Conte e Gasp, i ruvidi di successo che ne hanno viste di tutti i colori

Quella del Meazza è anche la sfida tra due tecnici unici nel marchiare le proprie squadre. Le comuni radici bianconere, l’amarezza col nerazzurro sbagliato, poi la consacrazione con quello giusto

Conte e Gasp, così vicini così lontani. Ne hanno viste di tutti i colori, ma le comuni radici bianconere li hanno portati a scambiarsi il nerazzurro, prima di trovare quello giusto. Ruvidi quanto vincenti, ossessionati dalla parola “intensità”, possono anche non piacere ma di sicuro guidano le due squadre più in forma (6 vittorie in fila per i padroni di casa, 4 per gli ospiti), con i migliori attacchi (62 gol segnati a 60) e la miglior classifica negli scontri diretti tra le sette sorelle.

A tre, ma diversi

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Due ex centrocampisti che, insegnano i maestri della panchina, vedono meglio degli altri le dinamiche di ogni reparto. Due fondamentalisti della difesa a tre, anche se Gasp la adotta da sempre con alcune variazioni e Conte, nato con l’idea del 4-2-4, si è convertito al 3-5-2 (ma ha vinto la Premier col Chelsea con il 3-4-3) a fine novembre 2011, in un Juve-Napoli in cui non aveva perso Marchisio. Antonio si porta dietro l’etichetta di tecnico solido, che esalta la fase difensiva e costringe gli esterni a un lavoro massacrante, da area ad area. Eppure la sua Inter segna più di tutti, non solo grazie a Lukaku e Lautaro. Gasp dovrebbe essere più “giochista”, con gli uomini di fascia più alti e assaltatori non per caso. Nella cooperativa bergamasca del gol (16 marcatori diversi), spiccano i 9 di Gosens, atteso al super duello con l’altra freccia Hakimi. Eppure proprio dopo il match dell’andata Gasp – al netto del caso Gomez – ha trovato equilibrio inserendo in pianta stabile Pessina come trequartista di sostanza.

Proteste e marchio

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Maniacali nel lavoro, vivono la partita con una tale intensità che spesso la concludono… in tribuna. Non elevano ad arte la comunicazione come faceva Mourinho, non preparano la battuta per ingraziarsi le folle, vanno dritto per dritto e marchiano le proprie squadre come nessuno. Insegnano la compattezza e la vera forza di Inter e Atalanta è saper difendere e attaccare in undici. Complici anche allenamenti da marines. “Le loro sono squadre moderne, tutti gli uomini sono sempre attivi e connessi, collegati da un filo rosso di un gioco offensivo” ha spiegato Arrigo Sacchi.

In parallelo

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E in fondo anche le rispettive carriere hanno diversi punti in comune. Conte ha giocato 13 stagioni nella Juve, poi l’ha allenata per tre (con altrettanti scudetti), dopo la gavetta con Siena, Arezzo, Bari e la stessa Atalanta. Tre mesi difficili (esordio con espulsione nel settembre 2009, dimissioni nel gennaio 2010), conclusi con pochi punti e il litigio con Doni che fa il pari con quello con Andrea Agnelli che nel 2014 chiuderà la sue esperienza in bianconero. Per Gasp, che prima si è fatto le ossa a Crotone e poi una fama col Genoa, l’amaro calice nerazzurro risale al 2011. Tra le macerie del dopo Triplete, Moratti punta su di lui in seguito all’addio di Leonardo. Ma sembra il primo a non credere alla difesa a tre e lo scarica dopo poche giornate. Facendolo entrare nel libro dei record come unico tecnico interista – a parte “Caronte” Verdelli nel 2003 – a non aver vinto nemmeno una partita. Una lezione che è servita a tutti.

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