Caro Allegri, ecco perché la Juve fuori dalla Champions è un vero fallimento

Se il successo dipende dalla preparazione che lo precede, senza una tale preparazione c’è sicuramente il fallimento‘. La massima confuciana è tornata alla mente ascoltando le parole post Benfica pronunciate da Massimiliano Allegri, secondo il quale non si può parlare di fallimento perché “nel calcio ci sono anche le sconfitte“. Senza dubbio. Ma ci sono sconfitte e sconfitte, soprattutto se le quattro rimediate sono state l’una peggiore dell’altra e non erano mai state così tante nella fase a gironi della Champions da quando la Juve la frequenta.

Nello sport si contano le vittorie e le sconfitte, i trionfi, le cadute e le ricadute. Questa è la peggiore che potesse capitare alla Juve, da ventisei anni scornata nella ricerca del trofeo più prestigioso. L’eliminazione, addirittura con un turno d’anticipo, ha inflitto un colpo durissimo al prestigio e al bilancio del club che ha visto sfumare anche 30 milioni di euro. E se nel finale di Lisbona non ci fossero stati i tre ragazzi del 2003 a salvare l’onore, l’umiliazione sarebbe stata ancora più cocente.

La verità è che questo fiasco non è improvvisamente caduto dal cielo né è il risultato di una sfortunata congiunzione astrale. E’ il penultimo capolinea (l’ultimo sarà il campionato se la società non imporrà la sterzata) di una serie di errori a ogni livello. Il peccato originale è stata la cacciata di Marotta, reo di avere vaticinato i dirompenti effetti sul bilancio dell’operazione Ronaldo. E poi le montagne russe, per dirla con Bonucci, sulle quali è salita e scesa la panchina, passando in tre stagioni da Allegri a Sarri; da Sarri, che pure ha vinto l’ultimo scudetto bianconero a Pirlo; da Pirlo, che pure ha vinto la Coppa Italia, la Supercoppa di Lega ed è arrivato quarto, come Allegri, richiamato ma eliminato dalla Champions negli ottavi, per mano del Villarreal, battuto dall’Inter in finale di Coppa Italia. E ancora: se, unica in Italia, allestisci la seconda squadra per allevare i talenti in casa, i talenti li scopri, ma li getti nella mischia una volta sì e una volta no, che senso ha? Poi nel finale di Lisbona tre ragazzi del 2003 giocano tutti insieme e, almeno, salvano l’onore.Il fallimento no. Ma, di certo, evitarlo non dipendeva da Iling, Miretti e Soulé.


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