Carini: “Il mio scambio con Cannavaro, Conte in campo, il 5 maggio: vi dico tutto”

Montevideo, Anni Ottanta. Una terra bagnata dal mare. Qui è cominciata la vita e poi  l’avventura sportiva di Fabian Carini: un figlio di operai. Nasce attaccante, diventa portiere per scelta del destino. Il Danubio gli ha dato quasi tutto, il resto glielo ha regalato l’Italia: prima la Juve di Ancelotti e Lippi, più tardi l’Inter di Mancini dopo lo scambio con Fabio Cannavaro. Il 5 maggio 2002 con la maglia bianconera sulle spalle, l’estate di Calciopoli con quella dell’Inter addosso. Carini c’era nei momenti chiave del nostro calcio e ricorda tutto. Juventus-Inter è ancora la sua partita e il pallone la sua passione più grande. Per una nuova sfida nel mondo del calcio c’è tempo: basta sapere aspettare il momento giusto, come sa fare un buon portiere.

Fabian, che cosa ha fatto dopo il calcio giocato?

Ho lavorato per tre anni come giornalista per la catena internazionale Fox Sports. Ora sono al servizio della mia famiglia: io e mia moglie Virginia abbiamo due figli, Alessandro di 6 anni e Luca di 4. Sono piccoli, gli stiamo insegnando i valori della vita e preparando per stare in un mondo complicato. Oggi sono la mia unica priorità. Vogliamo prenderli per mano, farli stare tranquilli e farli crescere bene.

Che cosa ricorda della sua infanzia in Uruguay?

Quando avevo due o tre anni mi hanno regalato il primo pallone e la prima maglietta del Peñarol. Ho vissuto un’infanzia stupenda. La mia famiglia era umile: mio padre lavorava 14-15 ore al giorno in una fabbrica che produceva carta, mia madre faceva le pulizie in un liceo. Ho ricordi bellissimi. Passavo il tempo coi miei fratelli Damián e Florela. Giocavo a pallone con molti amici: era quello che amavo fare.

Com’è cominciata la sua carriera in porta?

Quando avevo 6-7 anni sono andato al Club Amanecer, la mia prima squadra. Ero un centravanti, in quel ruolo però non ho avuto molte occasioni. Un giorno mancava il portiere e mi chiesero se mi andasse di giocare in porta perché ero molto alto per essere un bambino di 7-8 anni. Ho accettato. Senza saperlo, in quel momento è iniziata la mia carriera come portiere.

Lei ha iniziato nel Danubio: che cosa ricorda del suo primo club?

Il Danubio è la mia seconda casa. Ci sono arrivato a 10 anni e sono andato via quando ne avevo 21 anni per trasferirmi alla Juventus. Sono sempre stato bene lì, ho ancora molti amici nel club, sento i miei ex compagni. Il Danubio mi ha formato come calciatore e come uomo. Gli allenatori e le persone che ho conosciuto nel club mi hanno insegnato tantissimo. Quella squadra mi ha fatto diventare quello che oggi sono. Mi ha messo in testa valori importanti, oltre a quelli che mi erano stati trasmessi dai miei genitori.

Com’è nato il suo passaggio alla Juventus?

Quando mi hanno detto che la Juve mi voleva, ero titolare nel Danubio e facevo parte della Nazionale maggiore dell’Uruguay. Avevo disputato una Copa America e ci stavamo giocando le qualificazioni al Mondiale 2002. Il mio agente mi chiamò e mi disse che c’era la possibilità di trasferirmi a Torino. Andare in Europa è il sogno di qualsiasi sudamericano, soprattutto se sei un portiere: raramente chi giocava nel mio ruolo riusciva a farcela. Avevo 21 anni e potevo giocare nella Juve, una delle squadre più forti al mondo. Fu una grande soddisfazione.

Come sono stati i suoi primi giorni a Torino?

C’erano i miei connazionali: grandi uomini come Paolo Montero, Daniel Fonseca e Fabian O’Neill. I primi giorni a Torino sono stati abbastanza facili. Mi sono ambientato in fretta, nonostante le difficoltà legate all’italiano. Mi ha aiutato l’esperienza che avevo fatto con l’Uruguay. Ero abituato ai grandi viaggi e soprattutto a stare lontano dalla famiglia. Avere quei tre riferimenti nello spogliatoio mi ha reso tutto più facile. Ho grandi ricordi della Juve e di Torino.

Il 5 maggio 2002 lei ha conquistato lo scudetto con la Juve: vi aspettavate di vincerlo?

Fu una giornata speciale per i tifosi bianconeri. Conquistammo lo scudetto in extremis. La partita contro l’Udinese fu complicata. Il nostro destino poi non dipendeva da noi: dovevamo vincere e sperare in un risultato favorevole da Lazio-Inter, per fortuna arrivò. Fu il coronamento di un anno duro. Non è facile diventare campioni in Serie A. La festa scudetto mi ha regalato grandi emozioni. Fu un onore vincere con quei campioni.

Buffon ha annunciato il suo addio alla Juve: è una perdita per il club?

Gigi è un fuoriclasse, un portiere eccezionale ed una persona strepitosa. Ho cercato di imparare il più possibile da Buffon. Ricordo tutto: gli allenamenti, il suo carattere, le partite e i viaggi fatti insieme. Gigi è questo. Giocatori come lui restano sempre ad altissimi livelli e vogliono giocare il più possibile. La Juve perde un portiere fenomenale e un uomo spogliatoio, un pezzo di storia dello sport italiano e mondiale. Spero che possa trovare un club per concludere la sua carriera da titolare. E far vedere a tutti la sua forza come portiere e come persona.

Lei è stato compagno di Antonio Conte alla Juve: non si aspettava che avrebbe allenato l’Inter?

Conte da giocatore aveva già un carattere da allenatore. Attentissimo ai dettagli, a organizzare la squadra in campo, all’aspetto mentale. Era un leader, era il capitano, era un mister in campo ed era esattamente come è adesso. Il suo passaggio all’Inter non mi ha sorpreso. Conte è un allenatore e un professionista, deve fare il suo percorso e prendere le scelte migliori per il suo futuro. Sono contento che stia facendo una grande carriera e che sia diventato un grande tecnico.

Perché lei è andato via dalla Juve?

Davanti a me c’era un grande come Buffon. Non avrei avuto tante possibilità di esprimermi e quindi lo spazio sufficiente. Mi servivano minuti per restare nell’Uruguay. Ho fatto una chiacchierata con Lippi: capiva le mie motivazioni, sapeva che dovevo giocare per restare in Nazionale. Fosse stato per lui, io e Buffon saremmo rimasti per dieci anni, ci considerava perfetti per la Juve. Non voleva che mi trasferissi in nessun altro club italiano, solo all’estero. Andai allo Standard Liegi per giocare con continuità. Alla Juventus stavo benissimo, fossi rimasto lì però avrei giocato poco e avrei perso la maglia dell’Uruguay.

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