Capolavoro all’italiana. Loro col tiqui-taca, noi col tuca-tuca

Non siamo i più forti di tutti, ma ora con la nostra capacità di soffrire vogliamo vincere questo Europeo

Loro col Tiqui Taca e noi col Tuca Tuca. Alla fine l’abbiamo vinta all’italiana. Con il coltello tra i denti, con la capacità di difendere, soffrire e ripartire. Spesso con 11 giocatori dietro la linea della palla, quando ci hanno chiuso e per lunghi tratti ci hanno nascosto il pallone. Abbiamo sofferto, subito, rischiato, ringraziato in un paio di occasioni la loro imprecisione. Hanno giocato meglio loro, ma abbiamo vinto noi.

Perché nel calcio non basta avere il pallone e comandare il gioco per 100 minuti su 120, bisogna anche buttarla dentro. Alla Spagna è mancato il cazzotto del k.o., noi abbiamo saputo incassare, resistere. Per i puristi del pallone ci sono vittorie più esaltanti, ma è un merito anche vincere contro chi è più forte. Abbiamo giocato con i maestri del palleggio, i nipotini di talento di una generazione di miti che hanno appeso gli scarpini al chiodo. Alla vigilia forse con un po’ di presunzione abbiamo creduto di potercela giocare alla pari in mezzo al campo.

La Spagna siamo noi, ci siamo detti. No, la Spagna sono ancora loro. È il loro gioco, è il loro marchio di fabbrica e Luis Enrique è un grande allenatore e l’uomo merita tutte le gioie che purtroppo non serviranno lo stesso a pareggiare l’enorme dolore della perdita di una figlia. Adelante Luis, ci saranno altri trofei, te li auguriamo. Noi nonostante i nostri centrocampisti di talento non siamo riusciti a reggere il confronto sul loro stile inconfondibile di gioco, però abbiamo messo in campo quello che nessun’altra nazionale sa mettere come noi quando serve: la nostra resistenza, la nostra capacità di soffrire: aggrappati a quel nasone di Chiellini, quel naso triste come una salita che ci riporta all’epica di Bartali. Perché quando c’è da stringere i denti, che sollievo sapere che c’è Giorgione in mezzo all’area e Gigio in porta che ai rigori “dai che uno glielo prende di sicuro”. È stata una faticaccia, ma siamo arrivati fino in fondo. E Wembley comincia ad essere un po’ casa nostra: siamo a due vittorie su due disputate a Londra e aspettando l’avversaria dell’11 luglio, come dice il proverbio? Non c’è due…

Oggi sapremo se tra noi e la gloria più grande ci sarà la favola danese o l’Inghilterra. Giocarcela contro i padroni di casa, davanti a un pubblico per quattro quinti inglese sarebbe più difficile, ma anche più stimolante. Dopo aver superato Belgio e Spagna, chi c’è c’è. Avanti un altro. Avanti l’ultimo. Non siamo i più forti di tutti, ma non abbiamo paura di nessuno. Certo, ora vogliamo vincerlo questo Europeo, ma il risultato di domenica prossima non cambierà i giudizi. È stato il nostro Europeo, quello della rinascita, quello di Mancini e di una squadra che ha brillato a volte per il gioco, altre per la capacità di lottare, sempre per lo spirito fi gruppo, testimoniato ancora una volta dall’esultanza a fine partita quando tutti si sono raccolti intorno a Insigne che vestiva la maglia di Spinazzola. Al grido di “Spina, Spina”, il compagno sfortunato che l’ha vista da Roma in tv. E quanto ci è mancato ieri. Abbiamo pagine intere per le pagelle dei nostri inviati, per capire cosa è andato e cosa no. Chi ha deluso e chi ci ha tenuto a galla. Ma il calcio è uno sport meraviglioso perché la passione e la gioia a un certo punto travolgono tutto, anche le analisi tecniche e tattiche. Siamo in finale. Godiamocela.

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