Cannavaro esclusivo: “Ecco perché ero in tribuna vicino a De Laurentiis”

NAPOLI – Mentre intorno c’è un viavai di ricordi, in quest’orizzonte terso Fabio Cannavaro ritrova se stesso: accadrà tutto in quattro giorni, non saranno normali e men che meno semplici, e non sarà solo calcio, anzi ci sarà vita, la sua e quella di chi ha lasciato in chiunque un dolore sordo tra quei fili d’erba del “Paradiso”.

Sabato 25 novembre.
«Il terzo anniversario senza Diego. Se ne è andato troppo presto, per tutto quello che ha rappresentato. Qui dentro, a Soccavo, c’è custodito tutto di lui e spero persino si possa fare altro, un museo o non so bene cosa, perché niente va escluso. Ma io penso sempre a lui. Sorridendo, mi viene da dire: lui ci veniva poco. E so che riderebbe con me di questa battuta. Ma aggiungerei: ogni volta che stava qua, al Centro Paradiso, era gioia, lui amava stare con i compagni, ore e ore a tirare in porta a Taglialatela».

Hai immaginato cosa resterà di Maradona al termine dei lavori?
«C’è il murales all’esterno che vogliamo mantenere, perché è molto bello. E provare a valorizzarlo. Ma qui la sua presenza la senti ovunque. E comunque non intendo strumentalizzare la figura di Diego».

Alle 18, a Bergamo, ci sarà Atalanta-Napoli.
«Mazzarri ha tra le mani una grande squadra, assai forte, che può tornare ai suoi livelli, da scudetto. Con Garcia ha smarrito il suo modo di giocare; prima metteva sotto chiunque, non consentiva a nessuno di fare due passaggi di fila. Ora, deve ritrovare se stessa. Walter ha la possibilità di restituirle il suo spessore, conosce l’ambiente e quindi parte avvantaggiato. Ma il calendario, rileggendolo, è da brividi».

Domenica 26 novembre: Juventus-Inter.
«Un bel po’ del mio passato, diverso per contenuti e momenti. L’Inter la vedo più avanti, ha attaccanti fortissimi: su Lautaro Martinez inutile dilungarsi e su Marcus Thuram io non ho mai avuto dubbi. Non è solo assist, occhio. Vede la porta e la sente. E’ stato un po’ irriguardoso con me, dandomi del vecchio, ma ora che lo incrocio so bene come trattarlo… Due carezze… E’ il figlio di Lilian, posso permettermelo».

Mercoledì sarà a Madrid anche lei per Real-Napoli.
«Ci sarò con Prime. E’ un buon momento per andare al Santiago Bernabeu. Ancelotti ha tanti infortunati e quindi si può provare ad approfittarne e Mazzarri porta la ventata della novità. Con un’avversaria al completo, non ci sarebbe pronostico, quella è una squadra costruita per vincere la Champions».

Il suo amico Buffon vede Kvara da Pallone d’Oro.
«Ha caratteristiche uniche, da calciatore fantastico, da top, come va di moda dire adesso. Però deve crescere e capire che bisogna dare continuità al proprio rendimento, non saranno sufficienti sette-otto mesi per conquistare il Mondo. Ma è un gran giocatore».

Mazzarri è l’uomo giusto per il Napoli?
«Glielo auguro, anche se l’impatto – prossime partite alla mano – non è di quelli agevolissimi, diciamo così. Per risponderle, poi, serviranno i risultati: nel calcio non esistono giudizi che non dipendano dal campo. Ma i calciatori gli diano una mano e tirino fuori l’orgoglio per ritrovare la giusta serenità e tornare ad essere quelli che sono stati fino allo scorso giugno. Non posso credere che sia tutto svanito in così poco tempo, le qualità sono elevatissime».

Mai stato vicino alla panchina del Napoli?
«Mai. La domenica della gara con l’Empoli ero in tribuna con Paolo mio fratello, seduti qualche fila dietro De Laurentiis, che gentilmente ci disse di accomodarci al suo fianco. Tutto qui».

Spalletti ha riportato la Nazionale agli Europei.
«Il miglior allenatore in circolazione, dopo il trionfo con il Napoli. La scelta della Federcalcio è stata quella giusta. Il nostro movimento aveva bisogno di una soddisfazione e il pareggio con l’Ucraina ci riporta in Germania, terra indimenticabile per noi. Spalletti, il “vecchietto”, non smette di aggiornarsi e vuole proporre un calcio supermoderno. Bel primo tempo, poi nella ripresa è emersa la forza del gruppo. C’è stata un po’ d’ansia, nel finale, bisogna dirlo…».

Per lei era rigore?
«Rigore è quando arbitro fischia. Ce lo ha insegnato Boskov».

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