Campione nel 2006, campione nel 2021: De Rossi anima azzurra, gioia e tuffo nella birra

L’ex centrocampista della Roma ha vinto in azzurro nelle giovanili, da calciatore e ora nello staff di Mancini. A Wembley festeggia come uno dei ragazzi, il futuro…

Campione d’Europa Under 21 nel 2004 in Germania con tanto di gol in finale. Medaglia di bronzo, sempre nel 2004, ai Giochi Olimpici di Atene. Campione del Mondo 2006 a Berlino. Da ieri campione d’Europa, primo titolo da quando ha smesso di giocare. La maglia azzurra continua ad essere la seconda pelle di Daniele De Rossi, unico dello staff tecnico, insieme a Lele Oriali, ad essere sia campione d’Europa sia del mondo. L’aspettava, De Rossi, una notte così, dopo le lacrime del 2012, quando l’Italia si arrese in finale alla Spagna, e dopo quelle del 2016 (eliminazione degli Azzurri di Conte) e del 2017, quando la Nazionale di Ventura non riuscì a qualificarsi per il Mondiale, che per lui sarebbe stato il quarto della carriera.

Nervi tesi e sorrisi

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Una gioia talmente grande, quella di Wembley, che De Rossi ha sfogato prima divorandosi le unghie in tribuna insieme a Spinazzola, poi in campo, portando in braccio lo stesso Leonardo, con cui aveva condiviso il dolore dell’infinita notte post infortunio, e infine nello spogliatoio, con quel video immortalato da Jorginho e Verratti subito diventato virale. Via la giacca, arrotolate le maniche della camicia, si è gettato sul tavolo irrorato e reso scivoloso dalle numerose birre versateci sopra ed è poi caduto a terra, rialzandosi, esultando e mettendo in mostra quella vena che negli anni ha fatto impazzire soprattutto i tifosi romanisti. Tifosi che ieri si sono emozionati quando lo hanno visto entrare in campo e allenarsi un po’ – un bel po’ – come i giocatori nel riscaldamento: non voleva rubare la scena a nessuno, De Rossi, ma semplicemente scaricare i nervi. E magari, chissà, nel suo inconscio, risentire per qualche secondo, anche solo un attimo, l’effetto che faceva.

Mesi difficili

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D’altronde, per lui come per tanti altri, questi mesi non sono stati semplici. Al primo ritiro con la Nazionale ha preso il Covid, in una forma piuttosto aggressiva che lo ha costretto al ricovero in ospedale e, soprattutto, a 37 giorni lontano da casa, dalla moglie e dai tre figli. E forse c’è anche un pizzico di destino nel fatto che ieri la sua Sarah non fosse a Wembley, lei che è nata a Londra, ma a Roma a fare il vaccino. Un cerchio che si chiude, una famiglia che oggi si ritroverà dopo un mese e mezzo, con Gaia (16 anni tra qualche giorno), Olivia (7 anni) e Noah (quasi 5) che non vedono l’ora di riabbracciare il papà campione.

Tra passato e futuro

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Adesso quel papà dovrà decidere cosa fare: provare a camminare con le sue gambe o restare nello staff azzurro? La sensazione è che salutare ora il gruppo di Mancini sia difficile, magari Daniele potrebbe terminare il corso da allenatore a Coverciano, studiare in giro per l’Europa e proseguire con la Nazionale fino al Mondiale 2022. Sarebbe l’epilogo più giusto per una storia d’amore che dura da vent’anni, visto l’esordio nel novembre 2001 con l’Under 19. Un amore che non ha mai conosciuto crisi e che De Rossi ha vissuto tra alti e bassi (vedi l’espulsione contro gli Usa al Mondiale) ma sempre con la consapevolezza che la maglia azzurra per lui fosse importante come e quanto quella della Roma. Tutti, in questo mese e mezzo di ritiro, ne hanno apprezzato l’umiltà (era quello che portava in palloni in campo), la serietà nei momenti chiave e l’ironia quando ce n’era bisogno, oltre a quei consigli dati ai più giovani che solo uno con 133 convocazioni e 117 presenze può permettersi di dare. Ma lui il suo curriculum non lo ha mai fatto pesare. E forse anche per questo nella notte di Wembley i giocatori lo hanno trattato come uno di loro. Ancora una volta. Ancora per un po’.

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