Calciopoli, nel basket revocano scudetti e non riassegnano. L’Inter del 2006 unica eccezione

Calciopoli, nel basket revocano scudetti e non riassegnano. L'Inter del 2006 unica eccezione

Il caso Mens Sana riporta d’attualità la polemica sul titolo del 2006, l’unico che dopo essere stato revocato fu riassegnato…twitta

TORINO – Scudetti che vanno e vengono. Scudetti che vanno e basta. E’ di questi giorni la decisione del Tribunale Federale della Federbasket di revocare due titoli di campione d’Italia alla Mens Sana Siena: quello del 2012 e quello del 2013. Il tutto con la radiazione dell’allora presidente Ferdinando Minucci e delle dirigenti Olga Finetti e Paola Serpi. Nel giro di una decina di giorni sarà possibile anche leggere le motivazioni della sentenza, ma quello che salta agli occhi è il fatto che nessuno abbia reclamato quei titoli. Né Milano, che aveva perso la finale del 2012, né Roma che era stata seconda nel 2013. Ovviamente neppure le semifinaliste sconfitte nelle due edizioni hanno chiesto quegli scudetti. Né risulta che la Federbasket si sia mossa per una riassegnazione (anzi, pur senza prese di posizioni ufficiali, è stato reso noto che eventuali richieste specifiche verranno respinte al mittente) . Nell’albo d’oro ci saranno quindi due “buchi” in corrispondenza di quelle stagioni oggetto dell’inchiesta che ha visto condannare la Mens Sana.

L’ECCEZIONE INTER – Si conferma, dunque, una prassi ampiamente consolidata nello sport italiano che solitamente non assegna i titoli revocati per questioni di giustizia sportiva. Non accadde – per esempio – nel 1927 quando il titolo venne, in modo assai controverso per altro, revocato al Torino e non riassegnato al Bologna, arrivato secondo. L’eccezione rimane lo scudetto del 2006 che l’allora commissario della Figc, Guido Rossi, decise in modo piuttosto anomalo di assegnare all’Inter (società di cui era stato consigliere d’amministrazione) il titolo revocato alla Juventus in seguito alle sentenze sportive di Calciopoli. Un’assegnazione rivelatasi avventata se si tiene conto dei fatti emersi nel successivo processo penale e che contrastavano con le condizioni poste dai tre saggi consultati da Rossi per la riassegnazione, Gerhard Aigner, Massimo Coccia e Roberto Pardolesi.

L’ERRORE – Al di là dell’iter anomalo utilizzato da Guido Rossi, resta il fatto che in quel famoso “parere” chiesto dalla Figc si leggeva che, se proprio la Figc non fosse riuscita a fare a meno di riconsegnare a qualcuno lo scudetto revocato alla Juventus, avrebbe dovuto avere certezze solidissime sull’illibatezza del club che ne beneficiava. Scrivevano i tre saggi – «Tuttavia, nell’ipotesi da ultimo indicata, la FIGC ha certamente il potere discrezionale di deliberare la non assegnazione del titolo di campione d Italia alla squadra divenuta prima in classifica a seguito della penalizzazione della squadra o delle squadre che la precedevano se, alla luce di criteri di ragionevolezza e di etica sportiva (ad es. quando ci si renda conto, ancorché senza prove certe, che le irregolarità sono state di numero e portata tali da falsare l intero campionato, ovvero che anche squadre non sanzionate hanno tenuto comportamenti poco limpidi), le circostanze relative al caso di specie rendono opportuna tale non assegnazione»

IL SAGGIO – Qualche anno dopo, lo stesso Gerhard Aigner svelò: «Io non ho mai detto che l’Inter dovesse essere campione d’Italia. La decisione di assegnare lo scudetto è stata di Guido Rossi. Il commissario ha fatto il massimo per tutelare il calcio italiano. Poi, non so se era veramente convinto che l’Inter meritasse il titolo. Noi dovevamo verificare se gli statuti e i regolamenti di Uefa, Figc e Lega davano la possibilità di creare una classifica dopo la penalizzazione di alcune società. Secondo le norme, c’era questa possibilità e ci siamo limitati a dire questo». E ancora: «La struttura del calcio italiano di allora aveva questo pericolo, e cioè che i club e la Lega potessero avere contatti diretti con gli arbitri. Era una struttura sbagliata ma era una situazione generale. Allora non c’erano tutti gli elementi che ci sono oggi. La responsabilità nella creazione di questa struttura, chi più chi meno, era di tutte le società»

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