Brocchi: “Io, il Milan, Balo e quella finale di Coppa che poteva cambiare il destino”

“Brocchi si nasce, campioni si diventa”: un manifesto con l’umiltà al centro e dove l’orgoglio di certo non manca. È la scritta che campeggia sulla maglia che indossa Cristian, il centrocampista del Milan dei fenomeni diventati campioni d’Europa il 28 maggio 2003. Quel giorno sono nati i ragazzi rossoneri di Ancelotti: quelli che ad Istanbul nel 2005 si sono fatti male quando il futuro sembrava in discesa, quelli che ad Atene hanno scoperto il sapore della rivincita. Il rossonero come seconda pelle, Christian Vieri il fratello speciale, e poi Donnarumma e Locatelli i ragazzi di belle speranze che ha avuto il privilegio di prendere per mano. Brocchi fa il tifo per entrambi in vista della finalissima di Euro 2020. Dopo il Monza c’è una pagina bianca tutta da scrivere. Con la passione di sempre per questo gioco.

Cristian, che momento sta vivendo?

Col Monza ho vissuto un’annata importante, piena e difficile. Comunque positiva, anche se il risultato finale non è stato quello che sognavamo. Purtroppo nel calcio non si può vincere sempre. Siamo arrivati ad un passo dalla Serie A. Penso di aver fatto un bel percorso nei due anni e mezzo. Abbiamo riportato la squadra in B e abbiamo chiuso il campionato al terzo posto, il miglior risultato nella storia del club.

Com’è stato ritrovare Galliani e Berlusconi dopo gli anni al Milan?

Sono uomini passionali che hanno vinto tantissimo nel mondo del calcio e che hanno grande esperienza. Si sono misurati con la Serie C prima e con la B dopo. Il presidente ha mostrato sempre tanta passione. Reputo il dottor Galliani uno dei tre migliori dirigenti in assoluto.

Che cosa non è andato per il verso giusto?

Abbiamo vissuto due momenti difficili: ad inizio stagione il Covid ha messo fuori gioco diversi calciatori, poi ricordo sei partite di grandissima difficoltà in cui ci sono mancati per infortunio uomini importanti nello stesso ruolo e abbiamo fatto pochi punti. Siamo stati bravi a riprenderci e a recuperare. Purtroppo il rigore trasformato dalla Salernitana a Pordenone a 30 secondi dalla fine ha spento il nostro sogno di promozione diretta. La B è difficile. Essere arrivati all’ultima giornata a giocarci la A è stato importante.

Lei ha allenato Balotelli e Boateng: che giocatori ha ritrovato dopo i mesi al Milan?

Sono due ragazzi fantastici dal punto di vista umano e caratteriale. Non possiamo pensare di avere visto il miglior Balotelli o il miglior Boateng. Gli anni passano. Le loro condizioni fisiche non erano ottimali. Mario ha subito due infortuni, dopo si è messo sotto, ha lavorato sodo e ci ha dato una mano con sei gol. Iniziava a stare bene proprio negli ultimi 15-20 giorni. Prince ha dato tanto alla squadra dal punto di vista caratteriale e tecnico. Anche lui però verso la fine del campionato ha avuto dei problemi fisici.

Com’è nata la sua idea di fare l’allenatore?

I mister che ho avuto da giocatore erano certi che avrei fatto l’allenatore. Io non ci ho pensato fino alla fine della mia carriera. Un grave infortunio mi ha costretto a smettere anticipatamente. Ero avanti con gli anni, ma avrei potuto continuare per un paio di stagioni. Galliani mi chiamò per propormi di iniziare ad allenare partendo dal settore giovanile del Milan, dove avevo già cominciato da giocatore. Ho guidato gli Allievi per un anno, la Primavera per due stagioni. Penso che sia stato il percorso giusto per crescere.

Com’è stato allenare la prima squadra del Milan nel 2016?

Emozionante. Da calciatore con la prima squadra ho vinto tutto. Allenarla da inizio stagione è un conto, prenderla a due mesi e mezzo dalla fine del campionato è un’altra cosa. Era un compito molto difficile. Il gruppo non stava bene, c’erano problemi. Abbiamo giocato una grande finale di Coppa Italia con la Juve perdendo a pochi minuti dalla fine dei supplementari. È stata una breve esperienza, ma importante.

Che cosa vi è mancato per battere la Juve di Allegri?

Solo la fortuna. A livello di gioco e di tenuta della gara avevamo fatto bene. Poi affrontavamo una Juve forte con giocatori incredibili. I tre mandati in campo da Allegri, cioè Alex Sandro e Cuadrado e Morata, hanno contribuito al gol-partita. È mancato un pizzico di fortuna per portare le cose dalla nostra parte.

Vincere quella Coppa Italia le avrebbe garantito la conferma?

Se non ci fosse stato il cambio di proprietà, sarei ripartito cominciando la stagione successiva come desideravo fin dall’inizio. La società fu venduta e i nuovi proprietari scelsero altre strade. L’ho accettato.

Che tipo di calcio le piace fare?

Un calcio propositivo. Mi piace che la mia squadra abbia il pallone tra i piedi. Spero che comandi il più possibile. Voglio che i miei ragazzi abbiano il controllo. Negli ultimi due anni e mezzo, il Monza è stato la squadra col miglior possesso palla, col maggior numeri di passaggi riusciti. In Serie C abbiamo avuto la miglior difesa ed il miglior attacco. E in B ci siamo ripetuti. Mi piace un calcio di possesso palla.

Quest’idea di calcio le è stata tramandata da Ancelotti e da quel Milan?

Sì, però anche la Fiorentina di Prandelli faceva un bel calcio. Ho giocato in squadre forti. Ricordo gli inizi al Verona: eravamo piccoli, ma giocavamo bene. Voglio che la mia squadra abbia quella mentalità.

Com’è nata la sua passione per il calcio?

Mio padre e mio nonno giocavano. In famiglia c’era passione. Da piccolino ero sempre col pallone tra i piedi: ho cominciato a farlo da quando ho mosso i primi passi. Il calcio è stata ed è ancora la più grande passione della mia vita.

Lei aveva un mito da ragazzo?

Sono sempre stato uno dei più piccoli della squadra. Mi piacevano i calciatori fisicamente come me. A parte Maradona amatissimo da tutti, ammiravo Donadoni, Evani, Marco Simone, Benarrivo, Davids e poi Di Livio: giocatori di fatica ma anche di qualità, con velocità e tecnica. Erano dei riferimenti per me.

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