Braida-Galliani: rivali dopo una vita insieme

Per ventisette anni sui trentuno complessivi della magnifica epopea milanista berlusconiana, è stata la più ammirata “coppia di fatto” del calcio italiano. La definizione di google ne delinea perfettamente i contorni: «due persone che vivono in modo stabile unite da legami affettivi». Nella sede storica di via Turati, centro di Milano, le loro stanze al terzo piano erano separate da appena qualche metro: il grande capo, Adriano Galliani, “boss” come l’ha sempre chiamato Ariedo, in fondo al corridoio, Braida la penultima a sinistra. «Insieme ci completavamo e con Berlusconi abbiamo formato un magico trio» il rendiconto del sodalizio. Perciò non deve apparire retorica la definizione che uno, Galliani, ha sempre offerto del rapporto, con l’altro, Braida. «Più che un amico, è un fratello» ha ripetuto più volte. E la spiegazione è abbastanza semplice. Perché i due si sono conosciuti, apprezzati e frequentati da oltre cinquanta anni quando con i gol di Braida allo stadio Sada di Monza gli ultrà contavano “con Ariedo la serie B la vedo”. Adriano era il vice-presidente tifosissimo di quel Monza e appena Braida smise di far gol, gli ritagliò il ruolo di direttore sportivo. \Quel che il calcio separò per qualche anno, Silvio Berlusconi riunì acquistando il Milan nel febbraio dell’86 e da allora i due divennero inseparabili.

La grande intesa

Con una intesa umana prim’ancora che calcistica, consolidata dai successi del club e dal fiuto straordinario dei due dirigenti. Per unanime riconoscimento, Braida segnalò e convinse a concludere l’acquisto (a parametro Uefa, 1,4 miliardi di lire dell’epoca) di Marco Van Basten considerato uno dei pilastri di quel Milan olandese che “innamorare il mondo fece”. Qualche mese più tardi fu protagonista di una precipitosa fuga dallo stadio dello Sporting di Lisbona, invaso da tifosi inferociti per la cessione di Rijkaard. Ariedo, in compagnia dell’avvocato Berruti, per sottrarsi al probabile linciaggio, si nascose in un bagno e infilò per prudenza nelle mutande il contratto appena sottoscritto del terzo olandese. Vivendo “more uxorio” ogni blitz di mercato era scandito dalla loro presenza. «La verità è che ci intendevamo al volo» hanno spesso raccontato i due, pronti a superare ogni tipo di ostacolo per centrare l’obiettivo. Quando puntarono su Kiev, capitale dell’Ucraina, per vedere all’opera tale Shevchenko e chiudere con la Dinamo Kiev il vantaggioso contratto (40 miliardi di lire la valutazione, con la quotazione del dollaro bloccata), faceva talmente tanto freddo anche in albergo da costringerli a dormire vestiti la notte prima delle firme. E sempre insieme partirono di primo mattino, alle 8, per bussare a casa di Ancelotti e convincerlo ad accettare la panchina del Milan nonostante Carlo si fosse promesso a Calisto Tanzi, patron del Parma, a caccia di un nuovo allenatore. Per blandire il padrone di casa, per la prima volta, Galliani e Braida furono costretti a fare colazione con fette di salame e bicchiere di vino offerti dalla signora Luisa. Ne è valsa la pena perché negli otto anni successivi, da quel trio spuntarono due Champions, uno scudetto e una coppa Italia.

Una garnde amicizia

Non è stata una semplice, banale amicizia. È stato qualcosa di molto più solido perché capace di resistere persino alla rivalità calcistica. Nel torneo passato, serie B, quando la Cremonese fu promossa all’ultimo turno di campionato, dopo il successo di Como, il primo a telefonare a Braida fu proprio Galliani, deluso e amareggiato per il risultato di Perugia che lo aveva “rimandato” ai play off. E ancora. Quando Adriano fu ricoverato, per covid, al San Raffaele, Ariedo fu tra i tanti che aveva accesso alle telefonate privatissime con la compagna Helga. Nei giorni più complicati, riuscì persino a strappare un sorriso alla signora con una frase di questo tipo: «Non ti preoccupare, non mi lascia vedovo!».

Galliani: "Papu Gomez? Un amico, mai parlato di lui al Monza"

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