Baggio, la tripletta alla Juve e l’addio al Chievo. Pellissier: “Non lavoro solo per soldi”

Il Chievo è stato un po’ la sua Valle d’Aosta nel mondo del calcio?

Sì, venendo da una piccola regione avevo bisogno di una società piccola, dove lottare contro tutto e contro tutti per conquistare gli obiettivi. Era la famiglia giusta. Bisogna avere la fortuna per trovare una società che ti faccia crescere. Io l’ho fatto in tranquillità, dove nessuno mi metteva pressione e dove ero un ragazzo come gli altri. Nessuno si aspettava più di quello che stavo dando. Poi si sono affidati a me. Ero abituato a vivere in solitaria in una piccola regione e anche questo mi ha dato una mano.

La stagione 2006-07 è stata quella più bella e allo stesso quella più brutta?

In quegli anni ho vissuto tante cose belle e brutte. Retrocedere nel 2007 dopo aver giocato i preliminari di Champions League è stato molto pesante. Poi ho scelto di restare al Chievo in Serie B, sono diventato capitano e abbiamo vinto un campionato in maniera straordinaria. Quando siamo tornati in A abbiamo centrato una salvezza che sembrava impossibile, tutti ci avevano dato per spacciati all’andata. Sono stati tre anni decisivi per farmi capire quanto fosse importante il Chievo.

Lei ha avuto tanti allenatori: chi le ha insegnato di più?

Ho imparato qualcosa da tutti. Delneri è stato il primo a fidarsi di me, quello che mi ha dato la possibilità di esordire. Con lui ho litigato, ma fa parte del gioco. Ci sentiamo ancora, è un allenatore che mi ha dato tantissimo. Stimo Pioli come persona. Ricordo Di Carlo e Beretta. E anche gli ex compagni Corini e D’Anna, quelli con cui ho avuto più difficoltà perché ho giocato di meno. Mi hanno fatto ritornare sulla terra, mi hanno fatto capire che dovevo rimboccarmi le maniche. Maran tra alti e bassi ha creduto in me: a volte abbiamo discusso, ma fa parte della crescita. Con Pillon abbiamo disputato due stagioni straordinarie. Con Iachini ho vinto un campionato in Serie B da protagonista.

Iachini è uno di quegli allenatori che meriterebbero di più?

Tutti i miei allenatori basavano la loro vita sul calcio: lavoravano 12 ore al giorno, erano sempre al campo. Credo che tutti quanti meritassero qualcosa in più. Iachini ha avuto la possibilità di allenare in Serie A: tante volte ha fatto bene, altre volte purtroppo non è stato fortunato. Però è un allenatore che dà tanto alla squadra dal punto di vista dell’agonismo e della personalità.

Si aspettava che Pioli che potesse fare così bene quest’anno col Milan?

Lo scorso anno gli avevo detto che al Milan aveva fatto benissimo. Allora Pioli non sapeva se lo avrebbero confermato o meno. Stefano è un uomo straordinario che rispetta gli altri: io apprezzo tantissimo le persone che hanno questa dote. Ho massima stima di Pioli. È un allenatore che ti dà fiducia e che ti parla da uomo.

Ha un aneddoto legato a Pioli?

Una volta al Chievo avevo saltato una partita: non ricordo se per squalifica o per infortunio. Quando sono rientrato, ho lavorato per tutta la settimana. Domenica mattina mi sono alzato con un dolore al quadricipite. L’ho detto al dottore che lo ha riferito al mister. Prima di andare a pranzo, Pioli mi ha preso da parte e mi ha detto che mi avrebbe portato in panchina per stare insieme e dare una mano alla squadra. Tutto dipendeva da me: se me la sarei sentita, avrei giocato. Alla fine ho giocato quella partita contro l’Inter: abbiamo vinto 2-1 e ho fatto gol. Pioli aveva grande rispetto nei miei confronti, si fidava dell’uomo prima del giocatore. Se vuoi avere il massimo da un calciatore, devi fargli capire che credi in lui.

Lei ha conosciuto anche Lippi: che cosa ricorda del mister?

Mi ha convocato per un’amichevole. Siamo stati insieme per una settimana. Per me Lippi era un esempio, un campione del mondo. Essere convocato in Nazionale è stato bellissimo. Ringrazierò sempre il mister per avermi fatto questo regalo. La convocazione nell’Italia è stata la ciliegina sulla torta della mia carriera.

Qual è l’attaccante italiano che le piace di più?

Mi piace Immobile per caratteristiche. Poi apprezzo Belotti, anche se a volte sembra più un incontrista che un attaccante: se spendesse meno energie per dare una mano a tutta la squadra forse farebbe qualche gol in più. Entrambi sono due giocatori eccellenti.

Nella sua ultima stagione da giocatore c’è stata Chievo-Juventus 2-3, il giorno dell’esordio di CR7: una partita come le altre oppure un giorno speciale?

È stata una partita strana. Avevamo giocato molto bene, vincevamo 2-1 fino a cinque minuti dalla fine, poi abbiamo perso 3-2. Quell’episodio ci ha fatto capire che sarebbe stata un’annata particolare. In tante altre stagioni magari saremmo riusciti a portare a casa anche un pareggio, invece abbiamo perso in pieno recupero. Lì è iniziato un periodo con tante problematiche che poi ci hanno portato alla retrocessione.

Il 5 aprile 2009 lei ha segnato una tripletta alla Juve di Ranieri: è stato il suo giorno più bello?

Uno dei giorni più belli. Mi mancava la Juve: era l’unica squadra a cui non avevo ancora segnato. Quando ho fatto il primo gol a Buffon mi sono tolto un peso, non sapevo che ne avrei fatti altri due. È stata una giornata indimenticabile. È un ricordo che mi rimarrà per sempre. Non credo che tanti giocatori siano riusciti a fare tre gol a Torino alla Juve in un giorno solo. Poi contro Buffon, uno dei portieri più forti al mondo.

Qual è stato il difensore più duro che ha sfidato?

Allora c’erano difensori straordinari. Erano tutti forti. Se penso agli italiani dico Cannavaro e Nesta. Per quanto riguarda gli stranieri, ho giocato con Mario Yepes, uno dei difensori più rognosi in assoluto: poi è andato al Milan ha vinto il campionato. Anche Thiago Silva era un fenomeno e fa ancora la differenza. Ho giocato contro Maldini che era a fine carriera. Allora non era facile come adesso. Per fare gol bisognava impegnarsi e sperare che i difensori sbagliassero qualcosa. Loro però non sbagliavano quasi mai.

Qual è stato il suo partner d’attacco ideale?

Avevo legato con Tiribocchi e Amauri: eravamo amici fuori dal campo, stavamo sempre insieme. Eravamo molto legati anche se in campo non c’era spazio per tutti: giocavano due su tre, a volte addirittura uno solo.

Lei ha giocato per quasi tutta la sua carriera col numero 31: perché lo ha scelto?

Al mio arrivo al Chievo dalla Spal volevo avere l’11, ma era all’asta e c’erano già due giocatori interessati. Ho lasciato perdere e ho preso il 21. Poi è arrivato Bierhoff che a quel numero era molto legato: col 21 aveva vinto gli Europei facendo doppietta in finale. Gliel’ho ceduto. Così sono andato sul 31: all’epoca erano gli anni di mia moglie. Io sono un abitudinario, me lo sono sempre tenuto ed è diventato il mio cavallo di battaglia. A volte ero riconosciuto come il 31 e non come Pellissier.

Che cosa fa quando non fa calcio? Ha qualche hobby?

Un po’ di anni fa avevo un ristorante brasiliano a Verona, ma non lo gestivo in prima persona. Oggi devo badare ai bambini ed è difficile trovare hobby perché sei sempre impegnato con loro. In ritiro mi piaceva leggere, ma per farlo serve tempo. Quando posso mi rilasso. Mi piace divertirmi con le altre famiglie così i bambini possono giocare coi figli dei nostri amici. C’è poco tempo per fare altro.

Che cosa desidera per il futuro?

Voglio trovare un lavoro appagante che mi dia responsabilità. Mi piacerebbe lavorare ancora nel mondo del calcio, però voglio qualcosa che mi soddisfi. Non mi piace ricevere uno stipendio senza contare niente. L’ho dimostrato andando via dal Chievo, dove forse non mi avrebbero mai allontanato. Non ho mai lavorato solo ed esclusivamente per i soldi. Ho bisogno di sentire che le persone credono in me. Mi sono sempre preso le mie responsabilità quando giocavo e lo faccio ancora oggi nella vita di tutti i giorni.

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