Azzurri, ecco cosa dobbiamo imparare da questo Mondiale

L’Italia ha bisogno di “passione verticale”: il cuore del Marocco e la continua ricerca di profondità da parte dell’Argentina

Il deserto che si spalanca appena oltre gli spettacolari grattacieli di Doha è un pugnetto di sabbia rispetto a quello che abbiamo attraversato noi in questi quattro anni, strisciando sui gomiti come legionari rimasti con le borracce vuote. Quattro anni senza l’ombra di un Mondiale di calcio. Abbiamo trovato un’oasi felice, Euro ’21, ci siamo dissetati e poi ancora a strisciare sulla sabbia. È stata dura. Due Mondiali a guardare gli altri giocare, aggrappati al miraggio di ripescaggi improbabili. È stata dura anche qui a Doha, con i colleghi che ci sbirciavano il pass, vedevano che eravamo italiani e sorridevano. Roba da rispondergli alla Messi: “Que miras, bobo?”.

Sospetto

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È stata dura anche perché il sospetto che in Qatar avremmo potuto fare molta strada è affiorato più volte durante il torneo. Quando, per esempio, sono uscite nazionali ambiziose come Germania, Belgio e Spagna. Quando il Portogallo, lo spauracchio di uno spareggio mai raggiunto, si è inabissato con il pasticciaccio CR7. Vogliamo parlare dello svizzero Sommer che con noi parava anche le mosche e qui ne ha presi 6 in un colpo? Eliminato anche il presuntuoso Brasile. Dove potevamo arrivare? Almeno dove è arrivato il Marocco? Non pensiamoci più. Oggi, con la finale Argentina-Francia, si conclude il Mondiale e, di riflesso, anche il nostro deserto.

Passione e cuore

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Da domani si comincia a pensare alla Coppa del Mondo che verrà, quella del 2026, e lì potremo (dovremo!) esserci anche noi. Lasciamoci alle spalle rimpianti e rimorsi e chiediamoci semmai se questo Mondiale che non abbiamo giocato può in qualche modo aiutarci a raggiungere il prossimo. Cosa abbiamo imparato? Che la passione porta lontano, che il cuore deve sempre ardere di motivazioni. Acquisire assolutamente a Coverciano le partite del Marocco, contare tutti i palloni recuperati da Amrabat con la forza della disperazione, osservare con quanta intensità lui e i suoi compagni hanno giocato dal primo all’ultimo minuto contro la Spagna. Se solo gli azzurri avessero “voluto” un decimo di quanto hanno “voluto” i marocchini, non ci saremmo mai impaludati in quel girone di burro. Lo 0-0 di Belfast senza quasi tirare in porta resta nella memoria come un inno all’indolenza.

Gioia infantile

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Usciti dal deserto, cerchiamo di assomigliare, per quanto possibile, all’Argentina arrivata in fondo, spinta da motivazioni feroci. E auguriamoci di poter trovare presto un attaccante giovane e talentuoso dal gol facile, come Julian Alvarez. Se lo troviamo, facciamogli spazio con il coraggio di Scaloni. Intanto studiamo come gioca: aggredendo la profondità e riempiendo gli spazi con una gioia infantile. Ragazzi che sanno farlo li abbiamo anche noi: Zaniolo e Chiesa, per esempio, che dovranno essere i nostri gioielli al prossimo Mondiale. Però, ragazzi, osservate come Alvarez sgobba anche senza palla, come pressa anche le ombre. Ok? Comunque, pensiero verticale. Il palleggio lento e triste della Spagna che non faceva neanche il solletico a difese chiuse è sembrato antico come un Commodore 64, in confronto alle ripartenze di Hakimi e Mazraoui, ma anche alla bella pressione organizzata di Arabia e Canada e agli attacchi in massa dei giapponesi.

Van Gaal, anche no

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Probabilmente, anche il nostro doppio play ha fatto il suo tempo. Teniamoci pure stretta la nostra tradizione difensiva, perché in Qatar è andato avanti chi ha saputo difendersi bene. Il Marocco, prima di incrociare la Francia, aveva subito una sola rete, su autogol, in cinque partite. Rispolveriamo pure i nostri manuali di catenaccio, ma non fermiamoci lì, non diamo retta al santone Van Gaal che annuncia l’era del difensivismo. Appena ha smontato la diga dei tre centraloni dietro e ha inserito due punte, ha rimontato due gol all’Argentina. Teniamoci la nostra vocazione offensiva, una delle tante belle lezioni insegnate dal Mancio. Argentina e Francia sono arrivate in finale grazie a due coppie da 9 gol in 6 partite: Messi-Mbappè (5), Alvarez-Giroud (4). Rimettiamoci in piedi, oggi finisce il nostro deserto.

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