Aspettando De Vrij, c’è Ranocchia: l’uomo che vuole chiudere il cerchio con lo scudetto

Stefan aspetta novità dal tampone, se fosse ancora positivo al Dall’Ara toccherebbe al 13: la sua storia è l’esempio di un calcio che non c’è più

Si parte dalla premessa (scontata) che chiunque, per ragioni di salute, spera che i tre calciatori ancora positivi possano presto negativizzarsi. Poi, se così non fosse e concentrandoci sul solo aspetto calcistico, probabilmente farebbe piacere rivederlo in campo da protagonista: perché tutti, nella Milano nerazzurra, vogliono bene ad Andrea Ranocchia. E non perché sia (solo) un uomo-squadra (appellativo, diciamo la verità, non totalmente lusinghiero), ma anche per altre ragioni. È stato ed è un ottimo difensore con una signora carriera, ma soprattutto ama questi colori: quest’ultimo un aspetto non proprio banale in un calcio dove i calciatori legati alla maglia si contano sulle dita di una mano. Chissà, quindi, che la trasferta di Bologna non possa rappresentare una sorta di premio per chi ha aspettato, aspettato e aspettato. Incassando di tutto e di più. Sempre in silenzio.

Una decisione di cuore

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La ripresa del campionato porterà Lukaku&Co al Dall’Ara di Bologna: lì, sabato sera, l’Inter proverà a mettere in tasca altri tre punti da scudetto. Ad Appiano Gentile i tamponi sono quotidiani e Conte, dopo la negatività di Handanovic, aspetta news su D’Ambrosio, Vecino, soprattutto De Vrij, che in caso di “via libera” si prenderebbe la maglia al centro della difesa, accanto ai soliti Skriniar e Bastoni. Altrimenti, spazio per Ranocchia che in questa Serie A ha totalizzato quattro presenze (più una in Coppa Italia con i 120’ contro la Fiorentina), tutte da titolare contro Genoa (24 ottobre 2020), Parma (31 ottobre), Torino (22 novembre) e Benevento (30 gennaio 2021): numeri debolissimi, che Andrea ha accettato. Della serie: “Essere protagonista altrove? No, meglio pochi minuti a casa mia”.

Il suo nome circolava…

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E casa vuol dire Inter, club che non ha mai tradito. Nemmeno quando il suo nome piaceva parecchio, tanto in Italia quanto in Europa: “È vero, ci fu un sondaggio da parte loro: per un po’, lo ammetto, ci ho pensato. Ma avevo preso la mia scelta: le cose qui cambieranno…”, spiegò nel dicembre 2014. Sapete il nome di quella squadra? Il Bayern Monaco, top club che seguì a lungo il percorso di Ranocchia, ai tempi uno dei difensori italiani più promettenti che raccolse l’eredità di una leggenda come Zanetti indossando la sua – pesantissima – fascia da capitano. In quegli anni anche la Juventus (allenata da Conte) ci pensò, ma nulla da fare. Idem per Galatasaray e Borussia Dortmund, le altre società che fecero dei passi concreti per convincerlo a cambiare maglia, vita, cultura, tutto. La storia ha detto altro con un rapporto mai interrotto con l’Inter (a parte due brevi prestiti con Sampdoria e Hull City).

La missione da vincere

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Rileggendo il virgolettato, fa un certo effetto quel passaggio: “Le cose cambieranno…”. In termini societari – e di scelte di ogni genere – è veramente successo: il mondo Inter si è ribaltato più volte, non ancora nei trofei conquistati. Perché Ranocchia, ancora oggi, rimane l’unico della rosa ad avere alzato un trofeo con questi colori: il 20 maggio 2011, con Leonardo in panchina, arrivò la Coppa Italia. E quella sera, nel 3-1 sul Palermo, fu titolare. Da allora è passata una vita e milioni di cose sono cambiate. Non l’amore di Andrea per l’Inter con la quale ora sogna di chiudere una sorta di cerchio con uno scudetto che manca da undici anni. Lo meriterebbero tutti. Soprattutto, lo meriterebbe lui.

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