Amore, mercato e un’eredità da 200 milioni: Lecce-Fiorentina è il derby di Corvino

Oggi giocherà in casa, ma batterà forte anche il suo cuore viola. La storia del direttore sportivo, autore di grandi colpi e grandi vendite fra la Toscana e il Salento

Dieci anni di qua, 10 anni di là. Pantaleo Corvino stasera giocherà in casa (in tutti i sensi) al Via del Mare, ma batterà forte anche il suo cuore viola. Lecce è il suo amore naturale, la Fiorentina è quello acquisito. Ha riportato il Salento in Serie A e insegue la salvezza con la banda più giovane del campionato, mentre in riva all’Arno ha ottenuto traguardi importanti in due cicli distinti: quattro qualificazioni alla Champions League e una semifinale di Europa League.

Beniamino

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È la prima volta che affronta i toscani dopo la separazione consensuale di tre anni fa. Un gesto d’affetto per Firenze (rinunciando a 2 anni di contratto) e di coerenza verso la famiglia Della Valle. Un addio in punta di piedi, dovuto alla contestazione strisciante verso la famiglia marchigiana che pure aveva riportato in alto i toscani. E in questo rapporto di amore-odio il manager di Vernole ha indossato i panni del protagonista. Subito beniamino della curva Fiesole, resta l’eco di quei cori entusiasti: “Quanto l’è bello Pantaleo” o di quegli striscioni al miele: “Salviamo il PandaLeo”. Sono gli anni dei successi in serie e degli acquisti azzeccati: da Gilardino a Toni ma anche Osvaldo e Jovetic. Arrivano, però, anche le grandi cessioni: Nastasic, Felipe Melo, Ljajic e Vargas.

Genesi

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Il modello Corvino è nato tra i dilettanti e non fa mai cilecca. Grandi investimenti nel settore giovanile (scudetti Primavera a Lecce e svariati titoli a Firenze) e fiuto per i talenti da valorizzare. Emblematico il suo approdo al Franchi nel 2005: porta il bulgaro Bojinov per 16 milioni e taglia il cordone ombelicale dalla sua creatura giallorossa con la dote di 4 storiche salvezze. Abile negli affari, istrione nei rapporti. Nel suo biglietto da visita viola c’è anche la benedizione paterna e quel ricordo indelebile: “Mio padre tifava Fiorentina e quando avevo 9 anni mi portò in corriera a Bari per vedere la sua grande squadra”. Impossibile passare inosservato, insomma. Fanno simpatia anche le sue scorribande dialettiche. I cronisti fiorentini sorridono quando dice “Diamo una botta alla botte e una al tampagno”. Sarebbe un colpo al cerchio e una alla botte, ma l’espressione del Panta è l’originale dialetto salentino…

Incomprensioni e colpi

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Richiamato nel 2016 dai Della Valle dopo l’intermezzo di Bologna, riparte con un nuovo ciclo e con una nuova ondata di giovanotti di belle speranze. Accarezza di nuovo la qualificazione in Champions, ma l’umore della piazza è nero. Compaiono anche gli striscioni polemici: “Voi per profitto, noi per passione. Non potremo andare mai nella stessa direzione”. Nel conto ci sono le vendite di Bernardeschi, Veretout e Chiesa per citare i più in vista. Ma l’elenco è molto più nutrito, mal contati nelle casse del club negli ultimi anni sono entrati circa 200 milioni di euro. L’ultima perla è Vlahovic, costato appena 1,5 milioni di euro e venduto alla Juve per 80 con i bonus. E dire che i suoi detrattori gli fanno pesare di aver pagato in anticipo lo stipendio al giocatore per strapparlo alla concorrenza. Nei suoi ultimi mesi fiorentini Pioli ha in attacco Muriel, Simeone, Chiesa e Vlahovic, eppure le polemiche sono tutte per Thereau: considerato inadeguato. A distanza di anni certe sentenze evaporano, restano i bilanci tecnici. E il Panta si è congedato da Firenze con un attivo di fondo. Basti pensare che nella rosa di Vincenzo Italiano ci sono ancora tanti suoi gioielli: da capitan Biraghi, alla colonna Milenkovic, ma anche Terracciano, Venuti, Terzic e Zurkowski, senza considerare le stelline delle giovanili.

Nuova sfida

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Nella sua Lecce è ripartito con l’entusiasmo di sempre e la voglia matta di dimostrare come i miracoli non siano irripetibili. Stavolta ha puntato “sugli angali” (giganti) e sugli imprendibili Strefezza e Banda, tutti annunciate vedette del prossimo mercato. Cambiano gli interpreti e le strategie, ma la ricetta è sempre vincente.

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