Allegri, provate a mettervi al suo posto

In questa forsennata giostra di meno e di più (15), e sullo sfondo di tribuni che non hanno dubbi nel considerarlo l’unica, autentica “penalizzazione”, tendo una pargoletta mano al povero Massimiliano Allegri. “Povero” per modo di dire, visto il lauto ingaggio che percepisce. In tempi non sospetti (beati loro), scrissi che avrei confermato Maurizio Sarri – o, a ruota, Andrea Pirlo, reclutato a gavetta zero e mollato a trofei due – e mai, sottolineo mai, ripreso il «feticista dei risultati» per tanti e ovvi motivi: la spinta del quinquennio esaurita; la sterzata verso un assetto gestionale che, senza il supporto di solide travi, sarebbe crollato in un frastuono di pagliuzze e catenacci.

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Fuor di metafora: la Juventus dell’Allegri-bis non si poteva e non si può francamente vedere. Imbarazzante. Al netto di piccole fette che ne hanno insaporito le partite e degli infortuni che l’hanno zavorrata. Ecco: proprio per essermi astenuto dall’imbottirlo di ruffiane e pelose giustificazioni, lo difendo da coloro, e sono un esercito, che continuano ad accusarlo di citare troppo spesso la storia dei punti «sul campo»: un classico, tra parentesi, della letteratura sabauda.
Scusatemi: detto che gli hanno ri-consegnato il bottino (a orologeria, però), la sentenza della Corte Federale d’Appello risale alla settimana che precedette Juventus-Atalanta, incrocio che il 22 gennaio aveva suggellato il girone d’andata. Finì 3-3 e parlammo di scossa emotiva. Siamo al 25 aprile (Bella ciao) e il bello, diciamo così, deve ancora arrivare. Dal fronte plusvalenze, sul cui verdetto grava una nebbia da pianura padana, al filone stipendi, secondo gli esperti molto più serio. Provate, allora, a mettervi nei panni di Max. Uno di voi a caso. Napoletano, interista, milanista, eccetera. Cosa fareste, se foste in lui, per motivare lo spogliatoio della squadra di una società alla quale l’Uefa potrebbe infliggere addirittura gli “arresti domiciliari”? Mettiamo che, al posto di Allegri, ci fosse Luciano Spalletti. Racconterebbe, a vostro avviso, che il patibolo è ormai sicuro, che è inutile sbirciare la classifica, che ha ragione José Mourinho quando dichiara che certe cose succedono solo in Italia (birichino: anche nel suo Portogallo e persino al suo Porto)? Magari mi sbaglio, ma scommetterei sul fatto che si regolerebbe come “Minimiliano”. Spronando la ciurma a prendere per vero l’inverosimile, a onorare gli onorari. La Juventus delle tre sconfitte consecutive (quella con il Sassuolo, in particolare) non ha diritto ad alcun tipo di clemenza. A cominciare dal suo timoniere. Che però, e non è rozzo cerchiobottismo, dopo l’umiliante Waterloo di Champions, disastro che lo marchierà per tutta la carriera, ha raccolto i cocci, li ha rimessi insieme, pedala dietro Napoli e Lazio, è semifinalista in Coppa Italia ed Europa League. Inoltre, dimissionato Beppe Marotta e sparito Fabio Paratici, non ha più neppure un Pavel Nedved con cui confrontarsi a livello tattico e manageriale. Isolato, in balia di demoni e cherubini. Non si tratta di offrirgli un alibi. Calciopoli, nel 2006, scoppiò a campionato virtualmente defunto.


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