Allegri, il feticista delle teste buone

Si scherza, ma fino a un certo punto: non si possono certamente trascurare le prestazioni, né le reazioni, specie quando vengono a mancare. I primi a giocare sulla condizione generale – e di classifica – della Juventus sono stati i maledetti social, seguiti da alcuni media; infine ci si è messo lo stesso Max che da qualche tempo a questa parte, quando non si incazza come un furetto, si diverte a sfruculiare il prossimo con il contropiede verbale.  

Al Picco – un nome, una metafora – Allegri ha spedito in campo dall’inizio alcuni «porca tro… ta e poi vogliono giocare nella Juve!» (Kean, Chiesa, McKennie; panca per Kulusevski e Bernardeschi) e gli effetti si sono notati. Trovato quasi casualmente il gol con Kean, la Juve non ha avuto la forza di prendere in mano la partita consentendo allo Spezia di pareggiare e andare addirittura in vantaggio. Con merito, peraltro. McKennie, Bentancur, Kean e perfino Dybala non sono riusciti ad alzare il livello delle giocate, raramente si è potuta notare la differenza tecnica tra le squadre. Qualcosa è cambiato con gli ingressi, nella ripresa, di Alex Sandro, Locatelli e soprattutto Morata, il solo – insieme a Chiesa, più rabbioso che lucido – a procurare fastidi alla difesa di Thiago Motta.

Il feticista dei risultati, così la Suddeutsche Zeitung ha definito Allegri (come se in Germania dai risultati non dipendessero le valutazioni e i destini di società, tecnici e giocatori) ha raggiunto l’obiettivo minimo, i primi tre punti in un sol colpo, ma non ha ottenuto quello che cercava. O forse sì – interpretazione maliziosetta: è infatti riuscito a sottolineare con l’evidenza dei fatti le accuse del dopo-Milan. 

Tra le principali curiosità della stagione inserirei proprio la rapidità (o la lentezza) con cui Allegri riuscirà a dare un senso compiuto al gruppo che ha ereditato. Il calendario non lo aiuta: ricordo che la prossima settimana dovrà battersi col Chelsea in Champions. Al momento il rapporto tra il valore effettivo della squadra e il rendimento è pessimo, così come tra i gol fatti e quelli subiti: nelle ultime 60 stagioni soltanto un’altra volta, nel 2010/11 (nove), la Juve aveva incassato otto reti nelle prime cinque partite. I problemi maggiori sono evidentemente in mezzo, dove Bentancur, Rabiot e Locatelli devono ancora fare settore e volume: mi verrebbe da dire che l’alternativa più efficace resta Danilo, che centrocampista di ruolo non è. In attacco Chiesa, Morata e Dybala non sono, per ora, che un insieme di spunti individuali. 

Più che dei risultati, Allegri è secondo me il feticista delle “teste giuste”: provate voi a giocare e vincere con due gambe che corrono e una mente che frena.

Fisiologiche – oltre che verosimilmente previste da Pioli – le difficoltà incontrate dal Milan per battere il Venezia: la partita è cambiata quando, dopo un’ora al 70 per cento di possesso, ha inserito Tomori, Hernandez e Saelemaekers per Gabbia, Ballo e Florenzi. Nel calcio il verticale è più utile e risolutivo dell’orizzontale.

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