Allegri e Sarri, due pezzi difficili

Una squadra perfetta deve avere un portiere che para tutto, un assassino in difesa, un genio a centrocampo, un mona che segna e sette asini che corrono». Secondo voi, tra Sarri e Allegri, chi si riconosce nella storica massima di Nereo Rocco sulla squadra ideale? Tralasciando le indimenticabili coloriture del Paròn, la risposta è fin troppo semplice, lo so: ma anche il calcio lo è, semplice, o quantomeno dovrebbe esserlo. Poi ci si può anche rassegnare alla presenza di vice allenatori, preparatori atletici e dei portieri, responsabili dei lavori individuali di prevenzione, fisioterapisti, tattici, match, data e post-match analyst, opponent team analyst, training load analyst, riatletizzatori, psicologi, nutrizionisti e insomma tutta la serie di professionalità e stipendi a carico delle società: lo staff di Jurgen Klopp a Liverpool, ad esempio, è composto da 25 specialisti, da Peter Krawietz, uno dei due assistenti, fino a Lena Aschenbrenner, la prevention and performance physiotherapist.

Resta inteso che avere in squadra Buffon, Chiellini, Pirlo e Tevez oppure Alisson, van Dijk, Fabinho e Salah facilita sensibilmente il percorso. Allegri è per un calcio essenziale di giocate prima che di gioco, il cui obiettivo è la vittoria finale. Sarri, che le esperienze di Londra e Torino hanno solo parzialmente cambiato, non insegue più l’utopia, bensì il rispetto dell’idea originaria. La riduzione a “risultatisti” e “giochisti” non l’ho mai gradita, anche se ha la forza della sintesi e autorizza più di un’eccezione: ho visto squadre di Allegri giocare bellissime partite, così come prestazioni sarriane nelle quali la qualità della manovra non è stata esaltante.

Rari sono i punti di contatto tra i due, anche nel modo di vivere la vita, oltre allo sport, e di comunicare. Eppure mi piacciono entrambi e non lo scrivo per fare zero a zero, il risultato (im)perfetto. Allegri e Sarri sanno di calcio come pochi e non somigliano a nessuno dei tecnici contemporanei.

Pezzi unici e difficili. Allegri, che è uomo di mondo (e per qualcuno di mondanità), ha un’intelligenza tattica non comune che si esprime al massimo nell’affrontare un avversario più forte; possiede inoltre una straordinaria capacità di relazionarsi con calciatori di ogni livello, età e personalità; oggi avrebbe tante cose da (ri)dire, ma fa prevalere la parte del carattere che lo porta a dire: «che mi frega, ma che ne sanno quelli?!, i conti li faremo alla fine». Sarri ha una visione del calcio talmente tradizionale anticonformista da risultare modernissima, non entra quasi mai nelle scelte del club, questo è un limite, e sfrutta i pochi momenti di libertà (di parola) che gli sono concessi dal contratto per rispondere con energia a chi lo attacca: non ha paura di mettersi contro un collega, un dirigente, il suo presidente o la Lega.

Non potendo vantare precedenti da calciatori di valore elevato, entrambi non divagano, né fanno prediche; non le faceva Rocco che però era un brillante intrattenitore di mona con monate e ingannatore di intellettuali con sorniona e alcolica umanità. I Nostri trattano di competenza e basta, Allegri per lunga e importante militanza con successo nel calcio potente, Sarri per un’umanissima, costruttiva, favoleggiante esperienza sotto i campanili regionali prima di darsi a Napoli, Chelsea e Juve: sono immutabili esponenti del calcio del Granducato di Toscana, scuola dominante (non pensate a Coverciano) che lascia spazio alla creatività non rivoluzionaria e tuttavia incisiva. Artigiani che lasceranno fior di vittorie piuttosto che frasi celebri.

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