Albertini sulla Champions League: "Attacco e meno tattica, sarà una grande finale"

La notte di Parigi e una collezione di fuoriclasse. Impossibile immaginarla più suggestiva.

«Bellissima, ricca di campioni. Due società, due tifoserie, soprattutto due squadre che conoscono le finali e sanno come si giocano. Hanno tutti esperienza, non sono solo talenti».

A volte le finali sono bloccate.

«Può essere, ma non penso. Tante volte facciamo delle ipotesi, questa è talmente atipica… Sarebbe bello un gol all’inizio per aprirla subito. Il Liverpool normalmente gioca aperto più del Real Madrid».

Klopp significa gioco verticale ma anche palleggio.

«Ormai il calcio moderno si carattezza nel palleggio e gli spagnoli hanno dettato legge. Il Liverpool è tipico per il modo in cui riesce a verticalizzare. I terzini sono ali. Sono due squadre che attaccano con tanti uomini, anche il Real. Vedo poca tattica. Più facile ci sia un passo in avanti dei giocatori che uno indietro. Klopp è un grandissimo. Ha trasferito in Premier la mentalità che aveva portato in Germania. Produce un calcio spettacolare ma anche pratico, efficace. Non esageratamente tattico».

Con Salah, Mané, Jota o Firmino davanti è più facile…

«Giocano molto di movimento e sfruttano individualità incredibili. Salah e Firmino sono fortissimi nell’uno contro uno. Una volta si raccomandava di creare superiorità in difesa per avere il raddoppio. Loro, con i dribbling, fanno al contrario… Anche l’attacco del Real Madrid direi non male. Elogiamo Benzema, sta facendo cose straordinarie, ma non possiamo dimenticare Rodrygo e Vinicius. Giovani, ma esperti e decisivi».

Ancelotti viene considerato un gestore di fuoriclasse. Non sarà mica solo capace di creare un rapporto con lo spogliatoio?

«E’ un allenatore eclettico, in grado di adattarsi a tutti i campionati, conosce il calcio e i diversi modi di interpretarlo. In Premier la gestione di una squadra è diversa da quello che accade in Germania, in Italia o in Spagna. Incide lo stile di vita, il contesto. Devi sapere cosa ti aspetta. Tanti inglesi non potrebbero giocare in un altro campionato. Saper adattare le caratteristiche è una dote di Carlo. Il calcio in Premier, si sa, è molto più veloce. L’uno contro uno a Madrid è più importante che in Serie A, anche in fase difensiva: un terzino che non dribbla non potrebbe emergere in Spagna. Le persone intelligente cambiano, sanno adattarsi. Ecco la grandezza di Ancelotti».

Contenere la spinta di Alexander Arnold e Salah non sarà una passeggiata.

«Per il Real la cosa più importante credo sia fare il suo gioco e puntare sul possesso palla per lo sfondamento. A centrocampo hanno esperienza e qualità. Devono tenere palla e far correre il Liverpool. Così troveranno dei varchi».

Pronostico?

«Il Liverpool arriva con credenziali superiori, ma non sottovaluterei la storia del Real Madrid e dei suoi giocatori. E’ una fi nale, tante volte vince chi sbaglia meno. Di solito chi ha più esperienza, sbaglia meno».

Vengono in mente Modric e Benzema. Un assetto tradizionale, con Casemiro mediano accanto al croato.

«Il Real Madrid è una squadra più classica. Così diciamo perché noi la vediamo da italiano».

Benzema a quasi 35 anni impressiona.

«Lo dico da ex centrocampista. Gioca in un ruolo più longevo. L’attaccante corre meno, alla fine fa le cose grandi. Oggi il livello di preparazione fisica è cresciuto rispetto ai miei tempi. Anche io, giocando in Spagna, a 34 anni ero vecchio. Ci siamo evoluti. Si è allungata la vita dei calciatori, sono molto più atleti».

In Italia c’è chi vorrebbe far fuori Immobile, anni 32 e quattro titoli dei marcatori in Serie A.

«La Nazionale ora diventerà un’opportunità per tutti, ma in questo momento non vedo centravanti più forti di Ciro. Prima o poi uscirà un nuovo numero 9, ma dovrà dimostrare».

Torniamo a Modric. Il suo assist d’esterno al Bernabeu ha fatto epoca.

«La diversità dei giocatori da grande club, non parlo solo di un Pallone d’Oro, consiste nella visione di gioco e nei tempi più veloci rispetto agli altri, magari di pari livello, che non giocheranno una fi nale di Champions. Tanti giocatori potrebbero fare quel colpo. Pochi ci riescono con la stessa visione e la medesima rapidità di esecuzione. Ha usato l’esterno per anticipare il tempo. Magari, calciando di sinistro, avrebbe preso l’avversario invece di dare l’assist».

La Roma ha vinto la Conference. Che peso dobbiamo dare al successo?

«Sono sulla strada giusta. Vincere una coppa, qualunque sia, non è semplice. La Roma ha realizzato una bellissima impresa per i tifosi, per il gruppo dei giocatori e per l’allenatore che hanno fatto la storia. Meglio alzare la Coppa che stare a casa a guardarla».

Capello si è definito mourinhano convinto. E Albertini?

«Sono andato a premiarlo dieci giorni prima della fi nale. Gli dovevamo ancora consegnare la panchina d’Oro vinta con l’Inter dopo il triplete del 2010».

Cosa vi siete detti?

«Che l’errore organizzativo più grande è stato giocare in un impianto così piccolo. Le tifoserie di Roma e Feyenoord avrebbero riempito due stadi. E poi dico un’ovvietà, inevitabile. Mourinho è stato capace di segnare la storia del calcio. Ha vinto la Champions con il Porto, il triplete con l’Inter, ha riportato al successo la Roma. La cosa più bella, quando senti i suoi giocatori, è che non ne esiste uno capace di parlarne male. Non c’è mai uno scontento, anche tra quelli che giocano meno o niente. E’ una cosa meravigliosa».

Giusto lo scudetto del Milan?

«Sì. Meritatissimo per il lavoro e per come hanno giocato. E’ arrivato meno attraverso il talento».

La lezione di Pioli qual è stata?

«Credere in quello che faceva e trasferirlo ai giocatori. Ha creato, dopo la pandemia, la consapevolezza di poter costruire qualcosa di importante. Ci sono state partite in cui ci sono stati episodi dubbi e non si è mai lamentato, non ha creato alibi. Ha valorizzato dei giovani, ha gestito due o tre situazioni non semplici. Un esempio: Kessie. Altri allenatori lo avrebbero messo fuori. Pioli no. Lo dico da ex giocatore, è un valore importante quel tipo di scelta».

Mancini sembra Indiana Jones, cerca il tesoro nascosto, i nuovi azzurri non ancora protagonisti in Serie A.

«Si pensa, superficialmente, che Figc o Lega possano stabilire un obbligo a impiegare più giocatori italiani. Rovescio l’idea e dico: non c’è l’obbligo in Serie A per non farli giocare. E’ una scelta legittima dei nostri dirigenti e ci sono tanti giocatori stranieri anche nelle Primavere. Una volta la Nazionale era formata da giocatori in lotta per lo scudetto e per le coppe europee. Oggi abbiamo giocatori con più presenze in azzurro che nelle coppe…. Mancini ora sta facendo lo scouting del futuro».

Rinasceremo?

«Lo dico sempre. La speranza è l’ultima a morire, il problema è che la facciamo soffrire troppo».

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