Addio Calleri, portò la Lazio nel futuro

Più gli davano del visionario, più lui abbassava la testa e sfidava i suoi interlocutori, forte di un coraggio imprenditoriale e di una competenza calcistica che gli consentirono di portare fuori la Lazio da un tunnel infinito. In sei anni Gianmarco Calleri riuscì a evitare il fallimento del club e a riportarlo ai vertici, assumendo Dino Zoff e acquistando Paul Gascoigne. Un percorso tormentato, le cui emozioni sono ancora vive tra i tifosi biancocelesti, che non gli hanno mai riconosciuto l’onore di un’impresa quasi impossibile. L’ex presidente è morto ieri mattina a Roma, a 81 anni, accanto ai suoi cari e lontano dal palcoscenico, come aveva sempre vissuto dal suo arrivo a Roma: anche i funerali verranno celebrati in forma privata. Nel luglio del 1986 Calleri affiancò Renato Bocchi, il finanziere che Cesare Geronzi aveva scelto per salvare la Lazio dopo la fine della gestione Chinaglia e un breve interregno di Franco Chimenti. Gianmarco era stato un pessimo calciatore e sarebbe diventato un grande manager di un calcio senza telefonini, senza wags e senza You Toube. Si giocava solo la domenica alle 14.30 e per scoprire un calciatore dovevi girare il mondo. Lui intuì che Ruben Sosa sarebbe stato un talento su cui puntare e che nella Lazio due tedeschi come Karl Heinz Riedle e Thomas Doll avrebbero riscritto una storia piena di dolore ma anche di grande amore.

Il capolavoro

Dopo il suo debutto al comando dell’Alessandria, voleva qualcosa di più e tale era la sua determinazione che convinse anche il presidente della Banca di Roma e Bocchi, azionista di maggioranza che sarebbe uscito di scena nel 1989 quando la Lazio era ormai salva, sul campo e in tribunale. «Mi sono buttato in questa avventura soltanto per amore di mio fratello» raccontava Giorgio Calleri, senza il quale Gianmarco forse non avrebbe oltrepassato il confine dell’impossibile. Non era facile iniziare un campionato di serie B con 9 punti di penalizzazione e un campionato molto più ristretto di quello attuale: le vittorie, inoltre, valevano due punti e per recuperare serviva davvero un miracolo. Calleri a Roma portò il ds Carlo Regalia, uno dei più grandi competenti di calcio degli anni 80 che scelse in prima persona Eugenio Fascetti. «Non avevo dei buoni rapporti con lui per alcune incomprensioni precedenti ma dissi al presidente che era l’unico in grado di realizzare l’impresa» ricorda oggi il manager di Gallarate, profondamente scosso dalla scomparsa dell’amico. Un poker di uomini più una donna al comando della segreteria, Gabriella Grassi, che conquistò i nuovi proprietari con la competenza e le intuizioni decisive. Così è nato e cresciuto il miracolo della Lazio: i drammatici spareggi di Campobasso e di Napoli consentirono alla squadra di restare in serie B e poi di risalire in serie A l’anno successivo, grazie al terzo posto. Eppure ancora i laziali non riconoscevano a Calleri i meriti di un’operazione da cui erano scappati tutti.

Il rapporto con i giocatori

Era burbero, scontroso, persino aggressivo perché diffidava di chiunque si avvicinasse alla società, ai giocatori, all’allenatore. Alzò un muro invalicabile, a Tor di Quinto, al campo Maestrelli, e in sede, a Corso d’Italia: in pochi avevano l’accesso e chi lo conquistava doveva anche mantenerlo con la discrezione e la fedeltà. Serviva un taglio netto con il passato, altrimenti la Lazio sarebbe scomparsa. «Se la scadenza degli stipendi arrivava di sabato, lui non aspettava mai il lunedì per pagarli ma li anticipava al venerdì» ricorda ancora Regalia, che dopo la promozione partecipò attivamente al rilancio in grande stile: non più con Fascetti, con cui i rapporti si erano logorati nel corso di due anni infernali, ma prima con Beppe Materazzi, il giovane allenatore più promettente del momento, e poi con Dino Zoff, reduce dai successi con la Juve e uomo in grado di dare una dimensione internazionale alla società. A quel punto Gianmarco Calleri alzò l’asticella e iniziò a pensare in grande, traghettando la Lazio nel porto più prestigioso di sempre, cioè tra le braccia di Sergio Cragnotti. Un percorso lungo, in cui l’ex presidente ebbe delle intuizioni importanti: Sosa, prima di tutto, successivamente grande attaccante dell’Inter, Stroppa, che aveva vinto l’Intercontinentale con il Milan, Doll e Riedle, genio e prepotenza messi insieme.

L’acquisto di Gascoigne

«Ricordo quando decise di puntare su Paul Gascoigne, il Maradona di quei tempi: pensammo tutti che fosse un pazzo» rivela Gabriella Grassi, che preparò il preliminare di contratto con il Tottenham per l’acquisto del fuoriclasse inglese. Era l’epoca in cui Calleri aveva iniziato a trattare anche il centro ippico di Formello, dei fratelli Baldi, che sarebbe diventato il diamante della Lazio. Vedemmo Gianmarco e lo stesso Regalia in lacrime, a Wembley, il 18 maggio 1991 quando Gascoigne si ruppe i legamenti durante una partita di Fa Cup contro il Nottingham. Stava svanendo il loro sogno, il colpo del secolo, Gazza soffiato alla Juve e alla famiglia Agnelli. «Non mollatelo, lo pago io: voglio Paul biancoceleste». La telefonata di Sergio Cragnotti a Calleri, che poi avrebbe preso il Torino, portò la Lazio verso un futuro che ancora oggi appare irripetibile: uno scudetto e sette trofei in soli tre anni, dal 1998 al 2000. A Gianmarco, proprio oggi che non c’è più, i laziali dovrebbero riconoscere questo merito.


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