A tutto Zauri: “Io, il derby di Roma e quel tuffo di Delio Rossi nella fontana”

Una terra forte e gentile, che si piega ma non si spezza. Dove i sentieri più belli si lasciano scoprire solo da chi è disposto a percorrerli. Luciano Zauri è come il suo Abruzzo, come la sua Pescina, come la sua famiglia. Suo padre faceva l’idraulico, sua madre la casalinga. Lui ha fatto il calciatore senza pressioni, ma col sostegno di tutti. A Bergamo ha ritrovato un po’ casa, a Roma si è preso palcoscenici e derby che sognava fin da bambino. Ha visto Lotito nascere come presidente e Simone Inzaghi fare già l’allenatore in campo. Zauri non si è tirato indietro nel 2009 quando L’Aquila ha tremato. E non lo ha fatto nemmeno qualche anno più tardi, quando ha salvato una bambina da un pozzo. Luciano ricorda quell’abbraccio, un grazie sincero che sa di vita. Lo stesso che oggi scambia coi ragazzi nel suo nuovo percorso, sempre col pallone tra le mani.

Luciano, che momento sta vivendo?

Ho smesso di giocare a giugno 2014 e ad agosto ho cominciato il mio percorso in panchina. Non ho avuto il tempo per metabolizzare il fatto di aver smesso. Purtroppo non è stato possibile continuare a giocare. Ho colto l’occasione di andare in panchina. Il Pescara mi ha dato questa opportunità e l’ho presa al volo. Ho cominciato nella Berretti, poi sono passato in prima squadra come collaboratore di Oddo. Ci siamo giocati i playoff persi col Bologna, poi siamo passati all’Udinese. L’anno successivo mi sono messo in proprio. Ho allenato a Pescara la Primavera e la prima squadra, lo scorso anno i ragazzi del Bologna.

Qual è la sua idea di calcio?

Il mio calcio è il calcio di tutti. Allegri ha detto che è cambiato quando sono state introdotte determinate regole, poi è diventato tutto uguale. Mi piace la costruzione dal basso, ma prediligo un calcio pratico. Non mi piace l’integralismo. Bisogna fare ciò che serve in una partita e in un momento della stagione. Voglio un calcio propositivo e giocatori di qualità. Voglio che la squadra abbia grande temperamento. Ai ragazzi dico che ci sono più partite all’interno della stessa. Bisogna saper cogliere i momenti chiave.

Come è nata la sua passione per il calcio? C’erano degli sportivi nella sua famiglia?

Sono nato col pallone tra i piedi, come mi raccontano i miei genitori. Mio padre faceva l’idraulico, mia madre era casalinga. Non mi hanno mai spinto verso questo sport, però mi hanno assecondato e hanno visto tutte le mie partite. Siamo sempre stati una famiglia unita: così sono riuscito a fare ciò che ho fatto.

Che cosa le ha dato la sua terra d’origine?

Per me è stato tutto. Giocare col Pescara e allenarlo è stato emozionante: una soddisfazione incredibile per me e la mia famiglia. Sono partito da Pescina a 12 anni per Bergamo. Ho lasciato i miei genitori e i miei amici per coltivare il sogno di fare il calciatore. Il legame con tutti si è rafforzato quando sono tornato a Pescara. Riuscire a farlo è stato come chiudere il cerchio, il coronamento della mia carriera.

Che cosa hanno significato Bergamo e Roma per il suo percorso?

Senza l’Atalanta non sarei mai arrivato a giocare a certi livelli. Ho fatto tutta la trafila nelle giovanili della Dea. Bergamo mi ha aiutato a crescere come uomo e calciatore. Mi ritrovo nelle idee dell’Atalanta. La mia terra d’origine dista 700 km, ma è molto simile. Entrambe condividono cultura del lavoro e rispetto. Roma mi ha dato la possibilità di conoscere un palcoscenico diverso. Sono arrivato alla Lazio a luglio, il mese dopo giocavo i preliminari di Champions. È stato veloce. Senza una cosa non avrei fatto un’altra.

Che cosa ricorda del derby di Roma?

Più vivi a Roma e più ti accorgi di ciò che rappresenti per la città intera. Solo chi ha giocato i derby può capirlo. Dopo quattro-cinque stracittadine cominci a comprenderne l’importanza. La settimana prima e quella dopo ci sono i classici sfottò. Anche i derby di Bergamo e Genova sono molto sentiti. A Roma c’è un mondo di radio che carica l’attesa. Vedere l’Olimpico di nuovo gremito di persone sarà incredibile.

Che cosa danno Mourinho e Sarri alle due romane?

Sono due personaggi incredibili. Tutti sanno ciò che ha fatto Mourinho. Il suo arrivo ha cambiato alcune dinamiche a livello di gestione e di comunicazione. José accentra tutto su di sé per liberare mentalmente la squadra ed è un allenatore di livello mondiale. Mi piace pensare la stessa cosa di Sarri, che viene da una lunga gavetta e all’inizio faceva anche un altro lavoro. Col Chelsea ha vinto. Il mister insegna calcio. È sempre bello vedere quello che studia e quello che fa.

La qualificazione Champions è alla portata per entrambe le romane?

Ci potrebbero arrivare entrambe. Non mi sembrano ancora pronte per giocare per lo scudetto, ma sono attrezzate per centrare l’obiettivo Champions. Le vedo bene. Lotteranno fino alla fine per il piazzamento.

Lei è stato allenato da Mancini: qual è la qualità più grande del mister?

È un vincente. Mancio è molto schietto, in alcuni casi un po’ burbero. Non aveva figli e figliastri. Dopo la partita però finiva tutto perché bisogna godersi la vita. I rimproveri cessavano col fischio finale. Era la sua grande forza. Mancio è un vincente nato e lo conferma l’Europeo che ha conquistato con l’Italia.

Da Inzaghi a Liverani: tanti giocatori di quella Lazio sono diventati allenatori. Siete ancora in contatto?

Con alcuni di loro ho giocato solo per una stagione, nonostante questo siamo rimasti in contatto. Ho un bellissimo rapporto con Liverani e Corradi, ricordo con piacere anche Giannichedda e Fiore. Con loro è rimasto un legame molto forte. Tutte le volte che ci rivediamo è sempre un piacere stare insieme.

Sorpreso dal passaggio di Inzaghi all’Inter?

Di Ferguson ce n’è uno solo! Simone era destinato a partire, se non fosse capitato quest’anno sarebbe successo l’anno prossimo. Inzaghi aveva dato e ricevuto il massimo da una piazza importante come la Lazio. Mi dispiace per come si è lasciato, magari poteva riuscire a dire addio diversamente. Il calcio però è questo: oggi funzioni, domani non funzioni più, dopodomani funzioni ancora. Siamo dei professionisti e a volte succedono cose che vanno contro la volontà, ma sono scelte che devono essere rispettate.

Che cosa ricorda di Lotito invece? Che tipo era il presidente?

Ho vissuto il primo Lotito. Il presidente ha preso la Lazio quando noi eravamo già partiti per il ritiro in Giappone, quindi lo abbiamo conosciuto al nostro ritorno. Non conosceva il mondo del calcio, poi piano piano ha creato una grande società, ha risanato tutto e ha riportato la Lazio in Europa. Lotito ha fatto quello che doveva fare. Ha pregi e difetti, a livello professionale però ha ottenuto il massimo dalla Lazio. 

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