'A Mancio, facce ride

Caro Mancio, come ho già scritto più volte, mi è piaciuto moltissimo, oltre al gioco e alla personalità della tua Nazionale, il continuo richiamo alla felicità e all’allegria dell’esserci, del farne parte. Mi è stato fatto notare che nel ruolo di commissario tecnico hai portato l’intima, ma educata, ribellione ai ct che hai avuto, al punto da esibirti, oggi che ti trovi al loro posto, in forma originale, come a dire «ora che sono qui faccio come mi pare». Il bello – e lo confesso con qualche preoccupazione – è che tutti sono d’accordo con te. In primis la critica, anche se sappiamo bene che questo ammirevole feeling potrebbe svanire al primo passo falso. Ma ancor più sbalorditivo è l’amore degli italiani, e non dico solo di quello rivelato dagli ascolti televisivi: sono tutti, dico tutti, soddisfatti della vittoria conquistata con il gioco, forse anche dal gioco conquistato con la vittoria. Potrei passare ad analisi più profonde, quanto superflue, ma preferisco ribadire un’idea espressa su queste pagine: gli italiani vi amano perché si sono accorti che per primi li avete amati voi, giocando e vincendo per loro, mostrandovi felici per loro.

Caro Mancio, avevo pensato di scrivere questa lettera apertissima alla vigilia della finale (io un sognatore e tu ancora in tempo): da Italia-Nigeria del ’94 a Boston ho cominciato a credere nei miracoli made in Roberto. Poi, visto che ci stanno ripetendo da giorni che da qui in avanti sono tutte finali (che originalità), ho colto la palla al balzo togliendomi lo sfizio. Sono passati quasi quarant’anni da quando, estate ’82, Italo Cucci mi disse di raggiungere nel suo ufficio l’editore Luciano Conti, presidente di un Bologna che non era mai retrocesso in B e ottimo amico di Giampiero Boniperti, perché aveva qualcosa da chiedermi. Conti, che a me, ventiquattrenne neoassunto e ovviamente intimidito, incuteva la stessa soggezione provata da Fantozzi al cospetto del Megadirettore Galattico Duca Conte Balabam, mi invitò a correre a Senigallia per tentare di convincerti a restare ancora un anno al Bologna garantendo il passaggio alla Juve nella stagione successiva. Aggiunse che – per una singolare mozione degli affetti – avrei fatto bene a farmi accompagnare dalla tua fidanzatina di allora, che faceva la commessa in un negozio di abbigliamento di via Emilia Levante.

Arrivato sotto casa della ragazza con l’auto che mi ero fatto prestare da mio padre, una Mercedes marrone, la madre mi guardò più volte da capo a piedi cercando di capire se poteva fidarsi o meno. Il viaggio con la sedicenne imbarazzata e silente fu noiosissimo. Sul lungomare di Senigallia, la prima persona che incontrammo fosti incredibilmente proprio tu, in infradito, pantaloncini e maglietta. Sorpreso e affettuosissimo («cazzo ci fate qui?») spiegasti che avevamo fatto un viaggio a vuoto, dal momento che avevi già chiuso con la Samp grazie al “Dottore” (Paolo Borea, nda). Dopo due minuti eravamo sulla via del ritorno. Nei successivi trentanove anni ho vissuto da vicino quasi tutti i passaggi-chiave della tua carriera: prima calciatore dalla tecnica inimitabile, poi allenatore vincente. Sai bene che ti colloco tra i primi cinque calciatori italiani degli ultimi 40 anni e ti considero un formidabile “rabdomante”: non conosco tecnici più bravi di te nell’individuare le potenzialità inespresse di un giocatore. Per questo trovo che il ruolo di selezionatore ti calzi a pennello. Inoltre, essendo tu molto diretto e facile allo scontro, non dovendo vivere quotidianamente la squadra riesci a dare e ottenere il massimo anche in termini di rapporti personali.

Stasera nella “tua” Londra, ti giochi (ci giochiamo) il passaggio ai quarti. Negli ultimi giorni abbiamo tenuto alta l’attenzio-ne, più che la tensione, segna-lando il cambiamento di clima nei confronti degli italiani da parte degli inglesi e dell’Uefa – tu, sempre sereno e distante dalle umane cose, almeno apparentemente.

La pandemia non ti ha permesso di lavorare per molti mesi con i nazionali. Nonostante ciò, sei stato capace di comporre l’Italia ideale tanto sul piano tecnico quanto su quello dell’armonia. Mi ha colpito la scelta di Bernardeschi al posto di Politano, che in campionato aveva fatto meglio dello juventino. Mentre ho applaudito alla convocazione di “Giacomino” Raspadori, che ha la possibilità di respirare un’aria che lo accompagnerà per anni. Con te Locatelli, Florenzi, Insigne, Berardi, Acerbi, lo stesso Bernardeschi e Di Lorenzo sono cresciuti a livello internazionale sentendo addosso fiducia e positività.

Ti riconosci in una frase di Paulo Coelho, «allegria. Ecco una delle principali benedizioni dell’Onnipotente. Se siamo allegri vuol dire che stiamo percorrendo il cammino giusto». Robi, l’ultima Italia prima della tua finì piangendo. A Roma, semplificando, stanno urlando “’a Mancio, facce ride”.

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